Dopo un posticipo di un’ora e mezza, ieri sera è stato raggiunto un accordo per estendere di quattro mesi il programma di salvataggio della Grecia. L’accordo ha evitato che già settimana prossima Atene si trovasse senza fondi e che nelle prossime settimane dovesse dichiarare bancarotta, mentre a conclusione del processo si sarebbe arrivati a prendere in seria considerazione l’uscita dall’euro dal Paese ellenico. Nei prossimi quattro mesi riprenderanno le negoziazioni per cambiare alcuni termini dei piani che la Grecia si era impegnata a rispettare e che Syriza ha deciso invece di mettere in discussione a fronte della situazione economica drammatica.



Non è ovviamente noto cosa e come riuscirà a strappare la Grecia alla Germania nei prossimi quattro mesi, ma quello che conta probabilmente per i mercati è che lo scenario più nefasto sia stato per ora evitato; lo scenario più nefasto era quello che coincideva, per usare le parole di Goldman Sachs, con un “esito disordinato” delle negoziazioni che lasciasse in balia dell’incertezza più estrema.



Per capire quanto è successo ieri e le sue implicazioni occorre forse fare un passo indietro. La settimana decisiva nella trattativa tra Europa e Grecia per la rinegoziazione del debito è stata decisamente tranquilla per i mercati finanziari; non sono mancate le giornate di gloria e tutto è filato via liscio come se non ci fossero rischi reali. La stranezza è stata abbastanza evidente e in molti si sono chiesti come fosse possibile una così totale assenza di preoccupazioni e timori che si sarebbe dovuta tradurre in una prudenza molto maggiore e forse anche in qualche giornata particolarmente volatile o, perfino, negativa.



Una spiegazione a questa anomalia è stata tentata anche da Goldman Sachs che a poco più di 24 ore dall’annuncio di estensione del programma di bail out ha non solo cercato di motivare quanto stava succedendo, ma si portava avanti consigliando ai propri clienti come posizionarsi.

Innanzitutto complimenti alla banca d’affari per aver sostenuto che lo scenario più probabile fosse “qualche tipo di accomodamento” e che si sarebbe raggiunto l’estensione del programma di salvataggio. In realtà, notava Goldman, c’erano rischi di un incidente e di un avvitamento della situazione. La banca d’affari spiegava benissimo quale fosse la posizione dei mercati prima della fine dell’Eurogruppo e, soprattutto, metteva nero su bianco quali fossero le due assunzioni dietro tanta strana tranquillità: la prima è che si stesse assistendo solo a un gioco delle parti tipico di ogni trattativa e la seconda è che se anche non fosse stato raggiunto un accordo gli strumenti di cui si è dotata la Bce sarebbero stati sufficienti per evitare coinvolgimenti al resto dell’Europa periferica.

Se questa era la posizione del mercato, e sembra sinceramente l’interpretazione più sensata, c’erano però rischi che secondo la banca d’affari non venivano presi in considerazione. Il fatto che non ci fosse pressione dal mercato, per intenderci come con lo spread a 550, faceva credere a Goldman che le parti potessero non sentirsi sufficientemente sotto pressione per raggiungere un accordo a tutti i costi, mentre la distanza tra richieste greche e offerte tedesche rimaneva molto ampia. In caso di mancanza di accordo, molto semplicemente, Goldman credeva che si sarebbero avuti aumenti dello spread, euro e azioni sotto pressione e infine sarebbe stata minacciata la fragile ripresa europea. In altre parole, le conseguenze di un non accordo sarebbero state molto più serie di quanto il mercato si illudeva potessero essere.

Dopo la decisione di ieri è utile riprendere questo report non tanto per felicitarsi dello scampato pericolo, ma per avere più chiara quale sia la portata delle prossime negoziazioni sul debito greco, quanta sia ampia la distanza tra richieste e concessioni e quale siano le conseguenze dell’insolvenza greca o della sua uscita dall’euro. Se Goldman ha ragione, così come l’ha avuta nella sua previsione dell’esito di ieri, non ci si può illudere che il fallimento della Grecia sia un’opzione sostanzialmente neutrale per il resto dell’Europa periferica, in cui l’Italia rimane l’osservato speciale.

La ripresa europea è fragile veramente sia perché la crescita del Pil di cui si parla per il 2015 e uno zero virgola, sia perché la situazione del mercato del lavoro rimane pessima. I mercati possono continuare a salire, tra una privatizzazione e l’altra, e fare finta di niente, ma è sempre meglio avere bene in mente cosa c’è in gioco.