Anche ieri in un mercato abbastanza piatto, probabilmente complice il mini rally degli ultimi giorni, Fiat (anzi Fca) ha continuato una marcia trionfale, +2,5% contro il -0,3% del mercato, che dura ormai ininterrottamente da qualche mese. Per chi si fosse perso qualche puntata ricordiamo che a metà ottobre il titolo viaggiava a 6,9 euro e che oggi, tre mesi e mezzo dopo, il titolo sta a 12,35: 80% in quattro mesi scarsi è un gran bell’andare, soprattutto per un titolo da old economy in un settore in cui può mancare tutto tranne che la competizione.



Il progetto di spin-off di Ferrari ha certamente contribuito a questa performance; la creazione di valore finanziario che questa operazione consente è stata fin da subito chiara a tutti sul mercato perché la società del cavallino, oggi inserita in un gruppo che fa 500 e Doblò, ha un profilo competitivo e settoriale che poco a che vedere con il resto del gruppo e soprattutto è al riparo dalla competizione feroce che caratterizza il mercato auto. Oggi poi è tornata di moda la scommessa sull’Europa periferica, si parla di recupero del Brasile e la performance economica degli Stati Uniti rimane più che solida. A tutto questo si aggiunge un mercato azionario che ha voglia di sognare e di salire, anche perché sulle obbligazioni i rendimenti sono ormai infimi.



Bisognerebbe anche parlare delle sfide industriali che aspettano il gruppo Fiat Chrysler, perché la concorrenza non sta a guardare. Gli investimenti che la concorrenza può mettere in campo e che ha annunciato per i prossimi anni pongono una sfida considerevole al gruppo e la scommessa lanciata con il rilancio di Alfa Romeo di certo non si può considerare né vinta, dato che i modelli devono ancora arrivare, né semplice o facile.

La sfida industriale per stare sul mercato nel medio lungo periodo è possibile, ma non priva di rischi e incognite e si misura in miliardi di euro spesi; sarebbe in realtà il mestiere e il “core business” di un’impresa e di un imprenditore, ma a questo punto bisognerebbe chiedersi se l’azionista ha ancora voglia di fare impresa e se ci sono alternative che riescano a conciliare l’esigenza di trovare un mezzo per investire qualche miliardo di euro con un rendimento dignitoso in un modo sicuro. Quest’ultimo problema non è poca cosa in un momento in cui sui decennali “sicuri” si ottengono rendimenti annuali ben al di sotto dell’1%.



Insomma, il futuro di breve periodo di Fiat Chrysler appare eccezionale, ma su quello di medio lungo periodo si addensa qualche nuvola che sicuramente non sfugge a chi è obbligato ad avere una visione di lungo periodo come, per esempio, l’azionista di maggioranza. A questo punto bisogna aggiungere un altro elemento: i rumours di interesse di Volkswagen per il gruppo Fca non solo non si placano ma continuano con aggiunta di particolari e dettagli sullo stato di avanzamento delle trattative.

I rumours hanno certamente qualche fondamento reale, perché da Volkswagen sono arrivati in passato e in maniera esplicita apprezzamenti per Alfa, mentre sono note le difficoltà del gruppo tedesco sul mercato chiave degli Stati Uniti; allo stesso modo è stato proprio John Elkann qualche mese fa a dichiarare che la quota della famiglia potrebbe essere diluita “se ci sarà la possibilità di rendere la società più forte”. Anche Il Corriere della Sera a fine novembre dava conto dell’appetito di Volkswagen per i marchi Fiat.

Le ipotesi di una fusione Fiat-Volkswagen, con la seconda che capitalizza sei/sette volte la società italiana, non sono quindi fanta-finanza o il frutto della fantasia del mercato che cerca una scusa per comprare e far comprare. Di certo lo spin-off di Ferrari, smentito fino a poco prima dell’annuncio, si inserirebbe perfettamente nello scenario di cui sopra perché la parte migliore del gruppo, il gioiello della corona, invece rimarrebbe agli Agnelli. Questi ultimi si liberebbero del peso di portare avanti una sfida industriale rischiosa e si ritroverebbero con un 5% del primo gruppo globale dell’auto.

Non è molto diverso da quanto successo negli ultimi anni a tante imprese italiane, da ultimo per esempio a Indesit finita a Whirlpool perché era il modo migliore per “garantirne il futuro”. Insomma, perché parlare di vendita quando si può spiegare che in realtà è un’operazione di rafforzamento industriale? Magari la “fusione” Fiat-Volkswagen non sarà l’esito finale, ma sicuramente è una delle opzioni possibili e reali; il “mercato” lo sa e lo capisce, e forse anche per questo ha potuto comprare così tranquillamente.