Anche ieri il mercato italiano ha chiuso con un rialzo sensibile a +2,2%; dall’inizio dell’anno, due mesi e mezzo scarsi, il mercato azionario italiano è salito di più del 20%: non male per un’economia che se va bene salirà meno dell’1% nel 2015 dopo sette anni di fila di recessione. La “festa” vale anche per il mitico spread: si assiste basiti a proclami dopo il sorpasso sui Bonos e per i rendimenti del debito statale italiano scesi come mai si sarebbe potuto immaginare anche solo sei mesi fa. Ieri il rendimento del trentennale italiano è sceso per la prima volta sotto il 2% e anche quello del Bot ha toccato nuovi minimi a 0,079%.
Siamo sostanzialmente in un territorio inesplorato e sconosciuto dei mercati finanziari. Soprattutto, al momento, sembra che tutto tenda a far continuare l’andamento e l’osservazione di quanto sta accadendo fuori dall’Italia con il rendimento dell’obbligazione statale tedesca a sette anni negativo sembra dare un’indicazione del punto verso cui tutto potrebbe convergere; in pratica gli obbligazionisti pagano pur di prestare i soldi alla Germania, mentre per il momento in Italia, sulla stessa durata di 7 anni, si è ancora schizzinosi e non si accetta meno dello 0,7%. I movimenti sulle obbligazioni, per esempio quella di ieri sul trentennale italiano, sorprendono anche investitori che guardano professionalmente il mercato delle obbligazioni statali da più di 30 anni.
È questo scenario che spiega quanto sta accadendo sui mercati azionari; in un contesto in cui sulle obbligazioni non si guadagna più assolutamente niente, il mercato azionario con le promesse di incremento degli utili per la ripresa che sarà, quando sarà, oppure molto più semplicemente perché il costo del debito si schianterà, risplende in tutto il suo fascino; d’altronde è chiaro a tutti, molto più semplicemente, l’effetto che faccia su un potenziale risparmiatore la rivelazione che sul bond statale si dovrà accontentare di una miseria anche su durate lunghe o lunghissime e quindi per esclusione non si avrebbe praticamente scelta, dopo l’azionario, se non quella di lasciarla sul conto.
Una scelta valida fino a che, come già accade ai clienti “corporate” in Germania o oltre certi patrimoni negli Stati Uniti, non si dovrà pagare qualcosa anche per tenerli in banca. Uscire dal coro non paga in nessun senso possibile, né metaforico, né letterale, e preoccuparsi di quello che accadrà tra 6, 12 o 24 mesi è un esercizio probabilmente anche interessante, ma davvero poco utile.
La festa dei mercati non si è tradotta praticamente per niente in incrementi di Pil o minori disoccupati. I rialzi, per ora, rimangono confinati alle azioni e alle obbligazioni: investire sui mercati dove si può entrare e uscire in qualche secondo, magari con un bel bonus in mezzo, è una cosa molto diversa da investire in impianti o macchinari, pubblicità o strade, soprattutto se tutte le volte che si è sentita la parola ripresa negli ultimi sette anni è arrivata la fregatura.
Si dovrebbe parlare anche del fatto, tornando in Italia, che la burocrazia e l’apparato pubblico è rimasto allo stesso livello di inefficienza, deresponsabilizzazione e complicazione del 2007 e non c’è verso che neanche un decimo di quello che è stato fatto ai privati, per esempio con il Jobs Act, venga anche solo proposto nel pubblico che è rimasto sostanzialmente escluso dal diluvio piovuto sulla testa delle imprese e di chi ci lavora o lavorava (il 12% di disoccupazione è pur sempre una media in cui la parte statale rimane allo 0% con redditi e orari immutati). Insomma, la voglia di assumere e investire non è stata esattamente incentivata da riforme fiscali o da semplificazioni burocratiche che continuano a mancare anche oggi come nel 2007.
Vorremmo infine parlare ancora di due questioni alla luce di quello che si vede sui mercati: la prima è che il risparmio degli italiani, a differenza dei consumi, non è mai calato e sarebbe un motore della ripresa fenomenale se solo ci fosse una tassazione simile a quella delle altre piazze finanziarie. Il risparmio italiano paga stipendi a Londra e in Svizzera e tutte le volte che si parla di portare la tassazione in linea si levano le solite grida scandalizzate contro i favori alla finanza (ma quanto paga Amazon in Italia invece?); solamente che le masse rimangono a Londra, i gestori pure e gli stipendi anche e si parla di numeri molto importanti. Riportare i risparmi degli italiani, tanto più con questi mercati, in Italia gestiti da italiani dovrebbe essere una priorità, tanto più se sulle banche il governo ha dato carta bianca ai mercati globali.
La seconda questione è che Enel, di cui lo Stato italiano ha venduto settimana scorsa il 5% e che paga un dividendo che è un multiplo del rendimento dei Btp, è salita ieri del 3%: un pessimo affare per gli italiani e un grande affare per chi ha comprato. Davvero a una settimana dall’inizio del Qe abbiamo venduto per evitare di pagare lo 0% di interesse sul debito? Chi lo dice dovrebbe solo nascondersi.