Una delle notizie finanziarie più interessanti della settimana è passata decisamente sotto i radar dei media nostrani: il governo francese ha deciso di alzare la propria partecipazione, diretta, in Renault dal 15% al 20% per assicurarsi che dall’assemblea degli azionisti della società automobilistica francese uscisse un certo esito. Gli azionisti di Renault erano chiamati a esprimersi sulla proposta di tornare al meccanismo di un voto un azione mentre al momento le azioni detenute da più di due anni danno voto doppio. Il meccanismo di un azione due voti, se detenuta da più di due anni, serve a dare più peso nelle decisioni agli azionisti di lungo periodo (e quindi più allineati agli interessi di medio lungo periodo dell’azienda) rispetto a tutti gli altri. Il governo francese, per evitare che fosse eliminata questa possibilità, ha deciso di comprare sul mercato un altro 5% di Renault che successivamente all’assemblea, e una volta ottenuto il risultato desiderato, potrà anche essere venduto.

È interessante notare come appena al di là delle Alpi nella seconda economia dell’area euro certi interventi “statali” a difesa di quelli che vengono considerati settori strategici per l’economia e la produzione industriale vanno molto ma molto oltre quello che viene considerato possibile in Italia, che recentemente ha reso contendibile persino Enel per una manciata di euro (di certo lo è nei confronti del Pil e del debito pubblico italiano), che il governo italiano oltre tutto si è ritrovato come tesoretto proprio alla vigilia del Def (non c’era proprio nessun bisogno di mettere sul mercato Enel).

È chiaro che non si può teorizzare la “statalizzazione forzata” dell’economia in qualsiasi modo e in qualsiasi settore, ma è evidente che tutti i governi, in modi diversi, si pongono il problema di tutelare la base produttiva mettendola al riparo, sicuramente in alcune parti, dalla volontà esclusiva degli investitori e dei mercati. È vero in Francia, ma è vero anche in molti altri Paesi, Germania e Stati Uniti inclusi.

Come da copione, la decisione del governo francese è stata messa alla berlina dal Financial Times nella mitica Lex Column dell’edizione di giovedì. La legge francese, che peraltro c’è anche in Olanda, è stata definita bizzarra, mentre la decisione del governo protezionista. La cosa più interessante non è però la prevedibilissima reazione del Financial Times, ma il fatto che il quotidiano inglese abbia deciso di mettere dall’altra parte dello spettro, come esempio di buona politica economica, il nostro primo ministro e in particolare due suoi provvedimenti.

Renzi, a differenza dei colleghi francesi, si è infatti distinto sia per aver mantenuto una maggioranza di due terzi in assemblea per l’ottenimento del voto doppio nelle società quotate italiane (e quindi più difficile rispetto alla maggioranza del 50%), sia per aver affrontato “l’anacronistica” governance delle banche popolari.

Bisognerebbe a questo punto chiedersi come reagire di fronte a questi complimenti così sperticati e inattesi su un giornale che spesso non ha lesinato critiche anche aspre all’economia e alla politica italiana. Certamente si può leggere una difesa a tutto campo di un certo tipo di mercato: un mercato in cui gli investitori finanziari sono liberi da qualsiasi vincolo. Pazienza se questo tipo di mercato ha prodotto e produce storture evidentissime che vanno da fallimenti di banche fino al giorno prima considerate investment grade, Lehman Brothers valga per tutti, alla manipolazione di cambi, indici e prezzi (Libor, fixing dell’oro, ecc.), passando per la massimizzazione del valore finanziario delle aziende a discapito di qualsiasi altro interesse.

È oltremodo interessante il complimento sperticato a Renzi per la riforma delle popolari: è evidente che ilFinancial Times si preoccupa per le sorti dell’economia italiana e si compiace di questo salto quantico che il mercato creditizio italiano ha fatto verso un sistema più moderno trasformando un quarto del sistema bancario italiano da “popolare” a spa in un mese. Siamo d’accordo che sia un fatto eccezionale e senza precedenti al mondo perché nessun nostro “competitor” in Francia, in Germania o in Nord America, ha osato anche solo toccare l’equivalente delle popolari negli ultimi anni, mentre in realtà tutti cominciano a chiedersi se per caso non siano un’utile concorrenza e contrappeso rispetto a un certo tipo di finanza che, lasciata alle “regole del mercato”, ha prodotto crisi e disastri epici.

I soliti maligni potrebbero invece chiedersi se per caso i complimenti non siano “sospetti” e che al FT non interessi niente né dell’economia italiana, né di chi ci lavora. In questo caso bisognerebbe chiedersi se ha ragione chi cerca di mettere al riparo e investire direttamente in certi settori dell’economia oppure chi lascia vendere e comprare tutto (più vendere che comperare nel nostro caso). Una cosa è certa: quello che è successo in Italia negli ultimi mesi è senza precedenti e paragoni né temporali, né geografici né in Europa, né in America. Ce lo ricorda la Francia con Renault. Anche solo per questo siamo un caso di studio molto interessante.