Dopo essere stata al centro delle cronache per le vicende legate alla presenza in Brasile, Telecom Italia è tornata sotto i riflettori per questioni decisamente più italiane e in particolare per quelle legate all’annosa vicenda degli investimenti in rete fissa e banda larga. La questione, più in particolare, si è concentrata su Metroweb di cui Telecom Italia potrebbe decidere di acquistare una partecipazione e che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe diventare il veicolo che si farà carico di far fare un salto in avanti alla rete telecom italiana a colpi di investimenti di miliardi di euro.
Le trattative per l’ingresso dell’ex monopolista italiano in Metroweb si sono fermate quando Telecom Italia ha chiesto come condizione di poter avere una quota del 51%. Tra i potenziali interessati a partecipare a Metroweb (partecipata da F2i e dal Fondo strategico italiano) ci sarebbe anche Vodafone e probabilmente anche altri operatori alternativi. Nelle intenzioni del governo Metroweb dovrebbe ricevere contributi pubblici per diversi miliardi di euro da aggiungere agli investimenti dei soci privati. Per ricevere contributi pubblici, ovviamente, occorre che nessun socio privato abbia il controllo perché lo Stato italiano non può “aiutare” una società in particolare.
Per districarsi in questo flusso di notizie e nomi complicati bisogna fare un passo indietro e in particolare chiedersi perché serva una spinta pubblica così decisa per gli investimenti quando in teoria ci sarebbero diversi operatori privati di dimensione notevoli, di cui uno in particolare, Telecom Italia, già leader del mercato. Telecom Italia non investe come e quanto vorrebbe il governo perché a fronte di investimenti molto consistenti il ritorno è incerto e soggetto a vincoli e decisioni di authority e commissari. Essendo un monopolio Telecom Italia non può decidere il prezzo in autonomia e soprattutto deve cedere l’uso della rete agli altri operatori a prezzi vincolati; in sostanza secondo logiche meramente economiche l’investimento in rete in una parte importante del territorio non sarebbe economicamente sensato.
Da un punto di vista economico e industriale l’investimento in rete pone diversi interrogativi a cui non è facile rispondere. Investire in rete in una grande città come Roma e Milano ha una produttività molto diversa da quella che si avrebbe collegando un paesino di montagna o magari una piccola-media città al di fuori dei grandi centri urbani. Collegare un paese di 1000 persone e avere poi un ritorno richiederebbe molto probabilmente tariffe molto più alte da quelle offerte a Roma o Milano per lo stesso servizio. In questo senso si pone il problema dell’intervento “pubblico” che rende economico, in un modo o nell’altro, quello che in teoria e in pratica non potrebbe essere.
Ritornando al problema Metroweb è in quest’ottica che si comprende la diversità di posizioni tra governo, Vodafone e Telecom Italia. L’esecutivo vuole che si facciano investimenti pubblici (si faccia un buco nella strada, si metta un cavo e si ricopra) e che l’Italia recuperi il gap competitivo rispetto agli altri paesi europei dovuto a una rete telecom peggiore. Vodafone è disposta a partecipare a un veicolo “a guida pubblica” perché non ha l’ex monopolio e non ha una rete equiparabile a quella di Telecom Italia. Quest’ultima non vuole finanziare lo sviluppo di una rete concorrente alla propria, di cui ha il 100%, e giustamente e molto più che legittimamente deve fare gli interessi dei propri azionisti. Il governo esercita la propria “moral suasion” e Telecom Italia tenta di difendere il proprio vantaggio competitivo tutelando i propri azionisti. Forse servirebbe esplicitare meglio i termini del problema e suggerire soluzioni più chiare.
Se investire in rete non è conveniente per un operatore privato nelle condizioni e con il sistema attuali e se è impensabile che lo Stato faccia concorrenza ai privati con i soldi pubblici si dovrebbe avere il coraggio di portare avanti soluzioni meno rabberciate e più di sistema come, per esempio, lo spin-off della rete telecom e l’introduzione di meccanismi di remunerazione del capitale predefiniti oppure occorrerebbe rendere chiari i criteri secondo cui si può accedere agli incentivi e le zone in cui si possono ottenere senza imporre vincoli, come quelli suggeriti dall’Antitrust, che di fatto escludono Telecom Italia obbligandola a prendere una quota di minoranza in una società che le fa concorrenza.