Ieri sera l’agenzia di rating Fitch ha confermato il proprio rating “BBB+” sull’Italia con outlook stabile. La “promozione” che diversi analisti si attendevano alla fine non è arrivata e Fitch ha confermato il giudizio di metà ottobre. Ancora una volta tocca alle agenzie di rating il compito di descrivere la situazione economica italiana senza che slogan o performance dei mercati azionari da capogiro confondano tutto.
La prima frase del comunicato stampa di Fitch è emblematica: “L’andamento economico italiano rimane debole”. Fitch riconosce che l’Italia nel 2015 uscirà probabilmente da una profonda e prolungata recessione ed elenca le principali cause di questa “ripresa”: le politiche monetarie della Bce, l’indebolimento dell’euro, una maggiore fiducia e minori costi del petrolio. Dopo questo elenco, che non comprende in alcun modo niente di riconducibile all’Italia in quanto tale, Fitch mette nel giusto contesto la ripresa che si prospetta per l’Italia nel 2015.
La crescita de Pil dello 0,6% prevista per il 2015 e quella dell’1% prevista per il 2016 “è debole rispetto agli altri membri dell’eurozona”, mentre il Pil attuale è del 9% inferiore rispetto a quello del picco del 2008 e vicino a quello del 2000. L’Italia è sostanzialmente tornata indietro di quindici anni e ci vorrebbero più di dieci 2015 (con il Pil che cresce dello 0,6%) per tornare ai livelli del 2008: l’appuntamento sarebbe per il 2025.
Le cattive notizie sul debito pubblico non preoccupano invece l’agenzia di rating dato che la reputazione creditizia italiana è supportata da una economia “grande, benestante, diversificata e a valore aggiunto” con un basso livello di indebitamento privato e un sistema pensionistico sostenibile. È particolarmente interessante la prospettiva con cui Fitch osserva il debito italiano. L’agenzia non si fa spaventare dal “numero assoluto” perché l’economia è solida. La prospettiva è interessante perché lo stock di debito che evidentemente è impossibile da modificare sostanzialmente nel breve periodo non desta preoccupazioni se l’economia sottostante è solida. Questa interpretazione non era sicuramente di moda nel 2011/2012 e ancora oggi non è particolarmente popolare.
Alla voce “consigli” Fitch si permette un primo suggerimento al governo italiano perché risolva il problema delle sofferenze bancarie che potrebbero influire negativamente sulla concessione del credito; anche se non è nominata non è difficile immaginare che l’agenzia si riferisca a una “bad bank”. Sempre dal lato sofferenze, Fitch suggerisce come priorità anche una riforma delle procedure fallimentari anche se tale riforma è “improbabile nel breve termine” data l’affollata agenda legislativa del governo. Le spinte per una riforma delle procedure fallimentari sono in realtà molteplici ed è chiaro che aspettare anni, congelando un’azienda, prima di arrivare a un esito certo in questa fase equivale a distruggere un’impresa.
Fitch si avventura anche in un’analisi politica che prende le mosse dalla rapida elezione di Mattarella. Per l’agenzia questo testimonia che la posizione del primo ministro Renzi si è rafforzata e che la stabilità politica è migliorata. “Ciò offre al governo l’opportunità di continuare a concentrarsi sulle riforme istituzionali e strutturali”. In questo senso Fitch promuove il Jobs Act definendolo un passo importante nell’agenda di riforme strutturali del governo. Occorre infine sottolineare che il caso base di Fitch è che la Grecia rimanga all’interno dell’area euro anche se il Grexit è un rischio materiale.
A questo proposito Fitch crede che anche se un’uscita della Grecia rappresenterebbe uno shock significativo per l’eurozona ciò non si tradurrebbe in una crisi sistemica come nel 2012. La premessa è quanto mai opportuna e ricorda a tutti quale sia il contesto in cui si materializza lo 0,6% di crescita di Pil italiano: causato da fattori esterni, molto inferiore alla concorrenza europea e con cui ci vorranno dieci anni per tornare al 2008.