Su molti organi di informazione italiani ieri si poteva leggere la “notizia” del ritorno del mercato azionario italiano ai livelli del 2008 prima del fallimento di Lehman; il dato veniva presentato con un misto di compiacimento, per una sorta di successo “finanziario” italiano, e ottimismo come segnale di un avvenire economico migliore di quello attuale. Presentare questo “dato” al di fuori di qualsiasi contesto temporale ed economico è quanto di più fuorviante ci possa essere. Ci sono molti elementi che è davvero impossibile ignorare. I mercati finanziari, proprio dal fallimento di Lehman, sono stati usati come barometro della situazione economica italiana a sproposito a più riprese. Così il mitico spread a 500 indicava senza ombra di dubbio che l’Italia era spacciata, anche se la situazione economica era di molto migliore rispetto a quella di oggi con lo spread sotto i 100, mentre i successi del mercato italiano arrivano con un debito statale, che in teoria sarebbe stata la prima e ultima preoccupazione degli investitori, molto peggiore di quello di tre anni fa con un’economia più debole.
In ogni caso a proposito del mercato italiano “tornato ai livelli pre-Lehman” bisognerebbe forse notare che la borsa di Milano, unica tra quelle delle principali piazza europee e internazionali, tratta il 50% sotto (la metà) rispetto ai massimi del 2007. Il mercato azionario americano è sopra del 30% rispetto ai massimi del 2007, quello tedesco del 50%, quelli francesi e spagnoli sono sotto solo di circa il 15% e il 27,5%. Il mercato italiano è di gran lunga il peggiore da quando è davvero iniziata la crisi finanziaria (valga per tutti Northern Rock) ed economica e cioè dal 2007 e per tornare ai quei livelli avrebbe davanti a sé una scalata impossibile da immaginare nonostante qualsiasi Quantitative easing di qualsiasi banca centrale.
Questa diversità di performance dà una dimensione di quanto sia rimasta indietro l’economia italiana rispetto a quella dei concorrenti negli ultimi otto anni: il confronto è impietoso. Il fallimento di Lehman Brothers è coinciso sicuramente con una fase nuova, ma a sua volta è stato certamente la conseguenza di una crisi che sui mercati era già in atto, e in modo evidente, da molti mesi e che aveva in “mortgage backed securities” e “collateralized debt obligations” le parole chiave poi scomparse per lasciare il posto a spread e deficit. Il mercato italiano è tornato ai livelli pre-Lehman (2008), mentre quello tedesco ha fatto nello stesso periodo per due: questa è la vera notizia.
Questa piccola e modesta contestualizzazione non cancella ovviamente il fatto che la borsa italiana abbia messo insieme un rally del 30% dall’inizio dell’anno. I rialzi della borsa italiana sono sicuramente motivo di gioia per investitori e operatori del settore, ma i festeggiamenti finiscono appena fuori dai ristretti confini dei mercati finanziari. La “ripresa” italiana che avrebbe incantato gli investitori globali è un Pil in crescita dello 0 virgola dopo che proprio dal crac Lehman sono stati persi più di 10 punti di Pil e centinaia di migliaia di posti di lavoro privati con la disoccupazione che rimane ai massimi e non accenna neanche a diminuire; il tutto condito da una pressione fiscale record e un sistema pubblico rimasto immune a qualsiasi taglio o riforma vera e che rimane irresponsabile rispetto a qualsiasi discorso di efficienza o qualità del servizio.
La ripresa dei mercati inizia e finisce con l’azione della Banca centrale europea che si è tradotta in un aumento fortissimo dell’appetito al rischio degli investitori costretti a rischiare, volenti o nolenti, per ottenere un ritorno in una fase di rendimenti sulle obbligazioni statali nulli, se non negativi. La banca centrale regala alle economie in difficoltà tempo per rilanciare l’economia senza avere la pressione dei mercati e abbassando il costo del debito.
Il tempo che la Bce ha comprato anche per l’Italia si sta traducendo nell’ennesima occasione persa in cui si parla di tutto e si riforma tutto pur di non toccare i nodi veri dell’amministrazione pubblica, della burocrazia e della pressione fiscale e per non scontentare settori che hanno lo stesso potere contrattuale del 2007, mentre i lavoratori privati subiscono il Jobs Act senza un’ora di sciopero; contestare la politica imposta dalla Germania all’Europa diventa davvero difficile se alla fine la Bce permette di evitare le riforme utili ma difficili e spiacevoli mentre ci si compiace delle bolle finanziarie sui mercati che, senza crescita, alla fine presentano sempre il conto.