Ieri sera, a mercato chiuso, il principale azionista “industriale” di Telecom Italia Vivendi ha dichiarato che la propria partecipazione nella società telecom è “opportunistica” e che “non intende tornare nel settore telecom”. Oggi quindi il principale operatore telecom italiano, nonché proprietario e gestore della, di gran lunga, principale rete è senza azionista industriale; in compenso nel capitale è presente un gruppo molto variegato di azionisti che vanno da Blackrock alla Peoples Bank of China.

Seguire le vicende di Telecom Italia è diventato particolarmente appassionante. Dopo la saga Telecom Italia-Metroweb, per il momento accantonata, è arrivato il turno di una vicenda molto più esotica e originale con il coinvolgimento dell’Enel (che in teoria produce e vende energia elettrica) in un investimento miliardario, si parla di 5,5 miliardi di euro, nella rete in fibra ottica. Nel mezzo ci sono i tweet del primo ministro (“La BandaUltraLarga è obiettivo strategico. Non tocca a Governo fare piani industriali. Ma porteremo il futuro presto e ovunque”) che hanno lasciato, giustamente, interdetti anche gli osservatori più attenti.

Districarsi tra ipotesi, rumours e desideri del governo diventa sempre più difficile e la ragione principale è che non vengono mai esplicitati con sufficiente chiarezza gli obiettivi degli attori in campo, in particolare quelli del governo.

Telecom Italia è fino a prova contraria un gruppo privato senza alcun azionista pubblico che bene o male, fallendo o avendo successo, tenta di mettere in atto una propria strategia privata in un settore particolarmente difficile; il fatto che il management di Telecom sia o non sia buono non è utile ai fini di questa discussione. Il settore è difficile perché chi ha investito e deve investire in rete deve farlo tanto avendo ritorni incerti ed è per questo che i gruppi telecom in diversi parti del globo tentano o stanno tentando di arrivare all’utente finale con un’offerta diversa e qualitativamente migliore di quella esclusivamente riconducibile alla rete stessa; ieri, per esempio, è stato il turno di Verizon con Aol.

La differenza tra quello che vorrebbe o vuole il governo e quello che fa Telecom Italia è riconducibile al fatto che la seconda è obbligata a prendere in considerazione i fattori rischio/rendimento nelle proprie decisioni di investimento. Telecom Italia, essendo l’ex monopolista pubblico e gestendo la rete telecom italiana (o quella di gran lunga più importante), è chiaramente “speciale” e legata a un bene particolarmente sensibile per lo sviluppo economico italiano. Come gruppo privato, però, è obbligato, per esempio, a prendere in considerazione il fatto che fare un investimento nel centro di Milano o in mezzo alla campagna non è la stessa cosa in termini di costo/rendimento e che, in un settore così in evoluzione, decidere un investimento con i tempi sbagliati può essere un errore economico; per esempio, la tecnologia legata al rame oggi riesce a portare molti più dati di quanto si potesse anche solo lontanamente immaginare dieci anni fa.

Il governo che “non vuole fare piani industriali”, ma vuole “portare il futuro” alla fine, praticamente, ha bisogno di qualcuno che spenda miliardi e di qualcuno capace di fare, fisicamente, gli investimenti a costi ragionevoli. Senza questi elementi pratici, ma necessari, portare il futuro è un’utopia. Non è chiaro se l’obiettivo sia avere una rete moderna estesa a tutti, o al maggior numero possibile di italiani, oppure se l’obiettivo sia avere delle persone che aprono buchi e li richiudono (e minore disoccupazione) oppure un mix di entrambe le cose. In ogni caso non si può aspettare che Telecom faccia investimenti in perdita oppure che “ceda” il proprio vantaggio competitivo oppure che chi la possiede oggi, il primo azionista è Blackrock, si sacrifichi per l’interesse nazionale italiano; per cui, per la cronaca, facciamo il tifo.

Se Telecom e la rete sono strategiche e se l’assetto attuale non garantisce gli interessi economici, giustissimi, italiani, si cerchi chiaramente una soluzione diversa regolando il settore in modo differente. In questo momento Telecom Italia, e da poco anche Enel, che sarebbe anche quotata è in balia di rumours, dichiarazioni e iniziative poco chiare; ma soprattutto si sta perdendo un sacco di tempo mentre l’azionariato di Telecom, come dimostrano le dichiarazioni di ieri di Vivendi, appare meno stabile che mai.

Se oggi Telecom avesse un azionista “vero”, magari internazionale, siamo sicuri che la reazione alle “proposte”, più o meno “velate”, del governo sarebbe molto diversa. Oggi il mercato è costretto ad avere a che fare con una girandola di ipotesi sempre più fantasiose. Basterebbe essere più chiari e decisi esplicitando la politica industriale, giusta, e i mezzi per perseguirla, considerando che siamo in una fase in cui il governo inglese, secondo il Financial Times, ha fatto intendere chiaramente (ma non pubblicamente…) al management di BP e ad “alcune figure senior della city” che si opporrà a qualsiasi Opa su BP e che vuole che il gruppo energetico rimanga un campione nazionale. Con questo siamo sicuri che qualsiasi velleità avesse avuto il mercato su BP sia finita.

Neanche a Londra “il mercato” può passare sopra il campione nazionale del petrolio e anche a Londra gli interessi strategici vengono prima del “mercato”. Il tempo non è infinito e prima o poi, più prima che poi, l’opportunista Vivendi troverà qualcuno a cui vendere.