Quando i governatori delle banche centrali parlano in pubblico delle prospettive dell’economia e dei suoi riflessi sulle azioni delle istituzioni che presiedono è sempre una notizia; negli ultimi anni, e in particolare dalla crisi del 2008, le politiche delle banche centrali sono diventate il vero motore dei mercati finanziari e hanno determinato impatti evidenti sullo stato di salute dell’economia. Negli ultimi mesi, poi, gli “speech” sono diventati ancora più decisivi per mercati obbligati a convivere con moltissimi variabili economiche e geopolitiche in uno scenario di equilibrio precario tra ottimismo “forzato” per l’eseguità dei rendimenti degli attivi a zero o basso rischio e preoccupazione per lo stato di molte economie. Quando parla il presidente della Fed la notizia è ancora più importante perché la banca centrale americana è stata il faro dei mercati, oltre che la prima a dettare la linea dopo la crisi finanziaria del 2008. Per questo gli occhi del mercato erano da giorni puntati sul discorso che Janet Yellen ha tenuto ieri sera.

In un discorso di una mezzoretta scarsa, ospite della camera di commercio di Providence, Rhode Island, il presidente della Fed ha fatto il punto sullo stato di salute dell’economia americana e su come la Fed intende agire nei prossimi mesi. L’introduzione è stata un rapido riassunto dei progressi registrati dall’economia americana rispetto al culmine della crisi con la disoccupazione calata dal 10% al 5,4% di aprile.

Nonostante questa riduzione spettacolare, per la Yellen il mercato del lavoro sta solo approcciando la sua piena forza; in particolare, il governatore ha evidenziato come il dato sulla disoccupazione non prenda in considerazione chi ha smesso di cercare lavoro dopo essere uscito dal mercato, le persone “costrette” a un lavoro part-time e la deludente crescita dei salari. Se la Fed, per ammissione del suo governatore, è riuscita ad arrivare più vicino all’obiettivo di piena occupazione, molto rimane da fare sul secondo e cioè sulla stabilità dei prezzi, dato che l’inflazione rimane molto inferiore all’obiettivo del 2%. Altri elementi di debolezza rimangono sull’economia americana, come la difficile situazione del mercato residenziale, il taglio del budget statale e la difficile situazione dell’economia globale.

A conclusione di questa analisi, la Yellen ha espresso però la convinzione che l’economia americana sia “ben posizionata per una crescita continua” e ha attribuito la battuta d’arresto del primo trimestre a una serie di fattori temporanei e contigenti come l’inverno eccezionalmente freddo e alcuni scioperi nei porti della costa occidentale. Questa visione ottimistica non cancella alcune difficoltà strutturali come appunto la ripresa del settore immobiliare residenziale e soprattutto la debole fiducia delle imprese che si è tradotta e si sta traducendo in investimenti anemici sia per l’incertezza sulla ripresa che per quella sulle politiche economiche.

A fronte di questo scenario la Yellen ha tirato le attesissime conclusioni delineando le linee di azione della politica monetaria della Fed. Data la situazione di netto miglioramento del mercato del lavoro e i primi segnali di aumento dell’inflazione, la Fed comincerà quest’anno, con il primo rialzo dei tassi, a normalizzare la politica monetaria perché un eccessivo ritardo rischerebbe “di far surriscaldare l’economia”.

A questa affermazione però viene immediatamente fatta seguire una serie di precisazioni decisamente importanti. La “normalizzazione” sarà graduale perché rimangono elementi di debolezza e la velocità del miglioramento è “altamente incerta”; la Fed procederà “con cautela” e “ci vorranno diversi anni” prima che il tasso di riferimento torni al normale livello di lungo periodo. Se la precisazione non è sufficiente, il governatore aggiunge che l’azione della banca centrale rimarrà determinata dai prossimi dati e che non ci sarà un programma prefissato. Gli “strategist” delle banche d’affari e gli economisti in generale hanno considerato questo approccio e la linea d’azione di fondo più da “colomba” che da “falco” e l’impressione è che la Fed si renda perfettamente conto di quanto il momento sia delicato e pieno di incognite.

La conclusione per il mercato sarà probabilmente questa, ma vale la pena di notare che dopo queste sottolineature la Yellen è andata avanti, aggiungendo un pezzo. In particolare, il governatore ha deciso di concludere toccando un tema più generale e di lungo periodo: la massima occupazione e la stabilità dei prezzi, e cioè gli obiettivi della Fed, non assicurano da sole un tasso robusto di crescita economica o il miglioramento degli standard di vita; la Fed può arrivare solo fino a un certo punto sembra dire il suo stesso governatore. Per ottenere questo occorre invece un aumento della produttività (quanto viene prodotto in un’ora di lavoro) che rimane deludente.

A questo riguardo la Yellen ha dichiarato di credere che, come nazione (si parla degli Stati Uniti), occorre mettere in atto politiche che supportino una crescita della produttività nel lungo periodo: rafforzare il sistema educativo, incoraggiare l’imprenditorialità e l’innovazione, promuovere gli investimenti pubblici e privati sono secondo la Yellen quello che occorre. Serve un cambio di marcia “politico” più che monetario e il consiglio, visto quanto successo in Europa e negli Usa negli ultimi 5 anni, dovrebbe essere ritenuto molto più prezioso da questa parte dell’oceano, Italia inclusa.