Il New York Times lo scorso weekend ha dato una notizia molto interessante su Fiat Chrysler Automobiles; il quotidiano americano in particolare ha sostenuto che a metà marzo l’ad di General Motors, Mary T. Barra, ha ricevuto una “lunga e inusuale email da uno dei suoi competitors diretti, Sergio Marchionne”. Il New York Times aggiunge che Barra non aveva mai incontrato Marchionne e che “in nessun modo si aspettava che il primo contatto sarebbe stato per un’offerta per discutere una potenziale fusione”. La mail conteneva una presentazione in cui si mostrava come i produttori auto avessero bisogno di consolidamento e suggeriva che una combinazione tra GM e Fiat Chrysler avrebbe potuto permettere il risparmio di miliardi di dollari di costi e creare una superpotenza nel settore auto. L’ultima “notizia” data dal New York Times è invece l’unica che, in un certo senso, conoscevamo già: “questa analisi non ha interessato né Ms. Barra, né altri manager o membri del cda” e la richiesta di un incontro è stata “decisamente respinta”.



Il racconto del New York Times continua riprendendo la conference call del 29 aprile in cui davanti a una platea di stupitissimi investitori Marchionne dedicava uno spazio consistente nella presentazione dei risultati, prima a un’approfondita analisi dei benefici del consolidamento nell’auto, a cui seguiva una sorta di appello alle forze del mercato perché spingessero per il consolidamento del settore auto. Nota il quotidiano americano che “non accade spesso che un ad annunci al mondo che la sua società è desiderosa di trovare un partner per una fusione” e moltissimi altri hanno condiviso l’impressione del quotidiano americano che questo comportamento possa essere considerato “un segno di debolezza”.



L’appello di Marchionne sembra caduto nel vuoto perché sia Ford che GM hanno detto di non essere interessati mentre, secondo il New York Times, Volkswagen era ritenuta interessata nel passato, ma il suo management non “ha ancora affrontato il tema chiaramente”.

Il quotidiano di New York non manca di descrivere diffusamente le abilità di Marchionne e il successo eccezionale ottenuto con la fusione di due società in difficoltà, cioè Fiat e Chrysler, ma il quadro che emerge dall’articolo non è particolarmente lusinghiero. In sostanza, lo scenario descritto è quello di un ad che ha proposto a più riprese e con molta forza una fusione ottenendo invece disinteresse e rifiuti. I manager di Ford, General Motors e per ora Volkswagen non sono interessati e non vedono convenienze o quanto meno l’urgenza di fare una fusione.



Il New York Times si limita a registrare questo disinteresse senza dare interpretazioni. Il Corriere della sera di ieri, invece, conclude l’articolo sul tema della richiesta di alleanze di Marchionne in questo modo: “Il processo caldeggiato da Sergio Marchionne vede seduti al tavolo altri colleghi che, non si comprende, se per paura, per interessi di poltrona o per timore di insuccesso, oggi sembrano defilarsi”.

Quello che è certo è che nel settore auto nessuno ha finora raccolto la “sfida” dell’ad di FCA è che l’esigenza di “consolidamento” appare molto più un problema dalle parti di Torino che da qualsiasi altra parte. Toyota, Ford, GM e Volkswagen per il momento stanno benissimo così. Bisognerebbe anche intendersi sulla definizione di fusione, perché un’operazione tra FCA e una società grande tre o quattro volte tanto e in cui gli Agnelli si diluirebbero dal 30% al 5-10% per molti potrebbe anche assomigliare a un’acquisizione. È assolutamente possibile che da punto di vista industriale-finanziario Marchionne abbia ragione e il resto dell’”industry” pecchi di miopia, ma l’insistenza a fronte di un tale disinteresse suscita comunque stupore e forse anche sospetto. D’altronde gli Agnelli avevano già provato, quasi riuscendosi, a “vendere” Fiat a General Motors nel 2000.

La richiesta di fusione con GM di cui dà conto il New York Times probabilmente dodici mesi fa sarebbe stata bollata come fanta-finanza così come i rumours di “fusione” con Volkswagen, ipotesi per il momento accantonata, su cui non ride più nessuno da mesi e che sono stati messi in relazione con le dimissioni del presidente Piech dopo una sconfitta inflitta dall’ad Winterkorn che sarebbe maturata proprio sulla non condivisione da parte dell’ad del progetto di “fusione” con Fiat.

In ogni caso e in qualsiasi modo si guardi alla vicenda è chiaro che un’operazione che porti gli Agnelli dal 30% di una società auto al 5-10% implica la perdita di molte posizioni in termini di responsabilità imprenditoriale dei successi o degli insuccessi. Se l’accoglienza dell’industry è questa o se è questa l’accoglienza dei principali gruppi auto con cui FCA vorrebbe fondersi (e tra cui non sembrano comparire le problematiche francesi – mai nominate dal New York Times) a Fiat Chrysler non rimane che la strada della crescita organica e dei buoni risultati senza fusioni e questo passa da buoni modelli per molti anni di fila.

Se la fusione è una necessità, prima o poi se ne accorgeranno tutti e Fiat potrà negoziare da una posizione di maggiore forza.