I radar dei media italiani ieri sono rimasti puntati quasi esclusivamente sulla riforma della scuola, uno dei pochissimi settori rimasti in cui ci si può ancora permettere di scioperare tranquillamente e in cui si ha il lusso di non doversi preoccupare se un giorno di sciopero in più non dia per caso il colpo finale ai conti traballanti di un’azienda magari massacrata da crisi finanziaria, tasse esagerate e burocrazia inefficiente. Dicevamo. Mentre i radar rimanevamo saldamente puntati sugli scioperi la borsa di Milano chiudeva a -2,8%, ma era sul mercato delle obbligazioni statali italiane che si registrava una giornata davvero particolare: il rendimento del decennale italiano saliva in un giorno da 1,54% a 1,83%, un tasso che non si vedeva da inizio gennaio e un rialzo che annulla tutto il calo guadagnato negli ultimi quattro mesi. Il trentennale italiano perdeva il 9% mentre lo spread Btp-Bund guadagnava venti punti. Dalle sale operative si levavano commenti di sgomento di fronte a un “book” dei governativi in cui si vedevano solo vendite.
I negoziati sul debito greco, nella migliore delle ipotesi, stentano, mentre la situazione finanziaria del Paese ellenico continua a peggiorare. Le difficoltà enormi che si registrano in Grecia costringono tutti a riprendere in considerazione gli elementi di rischio a farsi le domande antipatiche che iniziano chiedendosi cosa succederebbe se lo scenario dovesse peggiorare e chi, eventualmente, sarebbe più esposto, e che finiscono, come dimostrato benissimo nella giornata di ieri, andando a parare dalle parti di Italia e dintorni.
I cambiamenti di “umore” del mercato oppure il ritorno ad analisi più razionali non sono un piccolo dettaglio, perché tra lo spread a 550 e quello a 100 di mezzo c’è solo una finzione a cui tutti hanno deciso di credere per convinzione e comodità con la complicità delle banche centrali.
La letteratura dei mercati finanziari e delle analisi di questi mesi era più o meno questa: tutto cospira alla crescita dell’Italia in una fase di tassi bassi, grazie al Qe di Draghi, all’euro e al petrolio deboli. Il petrolio ieri ha toccato i massimi da metà dicembre, l’euro dopo aver toccato 1,05 contro il dollaro a metà aprile, ieri segnava 1,12, mentre il deficit commerciale americano (escluso il petrolio) faceva toccare il massimo di sempre e infine il rendimento del decennale italiano, dicevamo, ha annullato ieri tutta la riduzione degli ultimi quattro mesi. Tolto il “fumo” del Quantitative easing della Bce all’Italia rimane da vendere sui mercati globali e nelle trattative geo-politiche una crescita del Pil da zero virgola, con una disoccupazione a due cifre dopo aver perso dieci punti di Pil negli ultimi anni.
Ieri mattina una breve nota dell’ufficio studi di Mediobanca, con un timing decisamente sfortunato, suggeriva di comprare il mercato italiano perché l’approvazione dell’Italicum rendeva più certo il percorso di riforme del governo Renzi. In particolare, si confermava il suggerimento di comprare azioni esposte alle riforme. Se fossimo cattivi, per la cronaca, potremmo anche dire che se la reazione alle riforme di Renzi e all’Italicum è quella di ieri allora siamo di fronte a una bocciatura senza appello.
In ogni caso l’ennesima finestra che è stata concessa all’Italia per le riforme per ora ha prodotto il Jobs Act, dagli effetti modesti (in compenso il mercato del lavoro è completamente congelato: perché chi lascia il vecchio contratto?), e una riforma elettorale che ha tenuto bloccato il parlamento per settimane e che al Pil non aggiunge neanche una virgola. Ci sarebbe la riforma delle popolari, ma è un’altra storia che è finita in una gigantesca performance finanziaria per gli investitori che hanno cavalcato la speculazione. Punto.
Tagli alla burocrazia non pervenuti, il taglio delle tasse non è andato oltre qualche mancetta pre-elettorale, alcune enclave pubbliche (per esempio, dalle parti di Rai e Raiway) rimangono intoccabili e immuni a qualsiasi accenno di cambiamento, mentre le aziende continuano a chiudere e il flusso di imprenditori italiani che vendono non accenna ad arrestarsi e mentre, ancora oggi, le lunghissime e complicatissime procedure fallimentari ammazzano definitivamente le imprese.
Dopo giornate come quelle di ieri sarebbe il caso di chiedersi per quanto tempo si sarà ancora disposti a far finta che tutto va bene o che c’è la ripresa che non vede nessuno e per quanto tempo le finte riforme che non provano neanche a toccare le rendite vere (pubbliche e private) o quelle che sono solo a uso e consumo degli investitori finanziari basteranno per convincere “i mercati” (le potentissime e malvagissime popolari erano così potenti che sono scomparse in una settimana).
Non sappiamo quando si chiuderà la finestra, ma sappiamo per certo, dopo ieri, che se si chiudesse oggi saremmo in guai serissimi.