Ormai da quasi quattro anni, almeno una volta all’anno, il mondo, politico e finanziario, è costretto a fermarsi sospendendo qualsiasi decisione economica o finanziaria in attesa di capire se la Grecia fallirà o meno, se l’euro così come l’abbiamo conosciuto finora sopravviverà o meno e infine se la stessa Unione europea finirà o cambierà in modo radicale. Queste ormai numerosissime sospensioni non sono state senza conseguenze e qualsiasi decisione emergerà sulla Grecia nelle prossime ore – il tempo scadrà il 20 luglio ma siamo già palesemente alle battute finali – il danno è già stato fatto.



Intanto è chiarissimo a tutti che le settimane e mesi in cui si è costretti a concentrarsi su Grecia e dintorni non lasciano indenni né i mercati finanziari, né “l’economia reale” di imprese e famiglie. Poniamo il caso di un investitore o un imprenditore che un mese fa era in procinto di concludere una valutazione su un particolare investimento e che invece è stato costretto a rimandare in attesa di tempi più “prevedibili”; una situazione di questo tipo implica un rallentamento “economico” e probabilmente persino una mancata opportunità perché il mondo è grande e ci sono tanti contesti dove invece si garantiscono le minime condizioni di stabilità per investire.



L’Europa negli ultimi quattro anni (e forse da ancora più tempo) ha dimostrato di essere inaffidabile e di non poter competere con altre regioni, per esempio Stati Uniti, Cina e perfino Russia, dove invece si è assolutamente certi che scivoloni traumatici verranno evitati. Gli Stati Uniti ancora oggi sospendono una decisione sul rialzo dei tassi per essere assolutamente certi che non si creerà voltatilità o tumulti finanziari e che gli investitori non perdano una fiducia ancora fragile dopo quanto successo nell’autunno del 2008 e di fronte a condizioni economiche non ottimali e a mercati finanziari globali instabili. A un anonimo investitori in qualsiasi parte del globo è chiaro che l’Europa è, come minimo, un oggetto estremamente instabile. In questo scenario un accordo messo insieme in fretta e furia che si traduca nell’ennesima situazione temporanea non può risolvere nessuno dei dubbi che il mercato ha legittimamente maturato sull’Europa. Oggi l’Europa è la Grecia o una delle “Grecie” del mondo.



La tentazione, date queste premesse, è quella quindi di fare il tifo per un’uscita della Grecia dall’euro una volta per tutte che riporti, in sostanza, quella stabilità che è finora mancata. È un’illusione, perché non si tratta di un esperimento “sotto vuoto” in cui è possibile decidere le condizioni e circoscrivere le conseguenze. Il fallimento della Grecia avverebbe in una fase di crisi dei Paesi emergenti, Brasile su tutti, in cui si addensano incognite enormi sulla situazione economica e finanziaria in Cina e, infine, in cui a due passi dall’Europa si combatte una guerra condita di decapitazioni e lapidazioni mentre si riversano sulle coste italiane centinaia di migliaia di migranti. Nessuno che abbia un minimo di buon senso, prima ancora che competenze finanziarie, può pensare che sconvolgere l’intera Europa in questa fase sia un esperimento “circoscrivibile”.

Con quali argomenti si potrà poi convincere chi si metterà in fila agli sportelli per ritirare i soldi in Portogallo o in Italia a tornare a casa? Alla prova dei fatti i greci che un mese fa hanno portato via i soldi dal conto corrente hanno avuto ragione e oggi stanno meglio di quelli che invece che ce li hanno lasciati. Se si esaminano i conti europei con lo stesso approccio con cui si esaminano quelli greci ci sono sicuramenti altri paesi che non passerebbero il test; in Italia il debito pubblico aumenta inesorabilmente da molti anni e non si vede alcun miglioramento del Pil che non sia includibile nell’errore statistico. Non si capisce poi quale meccanismo virtuoso di riforme e crescita si possa generare in questo contesto di crisi in cui partiti populisti guadagnano voti con proposte che ci condannerebbero definitivamente.

La ricetta dell’austerity ha condannato per prima la Grecia perché era lo Stato economicamente e finanziariamente più debole, ma l’effetto domino è già adesso programmabilissimo; il paragone più immediato è quello del fallimento di Lehman che ancora oggi dopo 8 anni e milioni di posti di lavoro persi fa sentire i suoi effetti. La Bce, che secondo Goldman Sachs è stata già “boicottata” nel Quantitative easing dalla banca centrale tedesca, che opposizione riceverà dai Paesi virtuosi quando per placare mercati in completo tumulto dovrà correre a comprare debito dei Paesi cattivi? Davvero i tedeschi che non si sono fermati nemmeno davanti all’emergenza umanitaria in Grecia, dopo un calo del Pil del 25% e un tasso di disoccupazione folle, approveranno l’acquisto della Bce di miliardi di euro di debito italiano? Lo stesso Paese, tra l’altro, in cui ancora oggi si legge di tribunali che chiudono per due mesi e di dipendenti pubblici che boicottano i tornelli….

Qualsiasi soluzione che non cominci a cambiare per sempre un approccio fallimentare che nel mondo solo l’Europa tedesca ha deciso di infliggere e infliggersi non può cambiare niente e di certo non basterà a cambiare l’opinione di investitori, risparmiatori o famiglie.