Ieri la società quotata Italcementi è salita in borsa del 50%; la ragione di questo exploit è facilmente rintracciabile nell’operazione annunciata martedì sera a mercato chiuso che prevede al termine di un percorso lungo e complicato (seconda metà del 2016) un’Opa sul titolo lanciata dalla tedesca Heidelberg cement a 10,6 euro per azione con un premio del 70% rispetto alla media delle quotazioni degli ultimi tre mesi; al termine dell’operazione, dopo un aumento di capitale riservato il principale azionista di Italcementi, Italmobiliare (la famiglia Pesenti), avrà una quota di circa il 5% di Heidelberg.
L’operazione si presta a una tale quantità di possibili angoli di analisi che diventa davvero difficile riordinare le idee e procedere con ordine. Partiamo dal lato forse più facile, quello squisitamente borsistico. Il prezzo pagato da Heidelberg è sicuramente “pieno” e certamente superiore rispetto alla valutazione che fino a ieri qualsiasi analista riteneva adeguata. Come sempre quando si entra nell’ottica di una fusione o acquisizione, le valutazioni dei mercati finanziari, che non superano nella stragrande maggioranza dei casi un orizzonte temporale superiore ai sei mesi, perdono ogni riferimento. In un’ottica di medio lungo periodo conta abbastanza relativamente se nei prossimi 12 o 24 mesi i risultati in un certo Paese saranno al di sotto del potenziale mentre conta molto di più mettere le mani su una quota di mercato che non può essere replicata da zero. Anche prendendo in considerazione questo “angolo” rimane che il prezzo pagato da Heidelberg è particolarmente generoso e sicuramente molto attraente, di quelli, per intenderci, a cui è molto difficile dire no.
Qualche giornale è arrivato a usare la parola “fusione” per descrivere l’operazione. È meglio quindi puntualizzare qualche elemento per sgombrare il campo da alcuni possibili fraintendimenti. Fino a ieri Italmobiliare possedeva il 45% di Italcementi, alla fine dell’operazione avrà circa il 5% di Heidelberg; alla fine dell’operazione Italcementi smetterà di essere quotata e divenerà una parte di Heidelberg che è grande circa cinque volte Italcementi. In ogni caso per sgombrare i dubbi basta prendere il titolo della presentazione con cui Heidelberg ha illustrato l’operazione al mercato “Presentazione sull’acquisizione di Italcementi”. C’è un venditore e c’è un compratore e il compratore si chiama Heidelberg.
Ogni operazione fa storia a sé, in ogni vendita ci sono dei motivi e delle ragioni che si possono prendere in considerazione, ma quello a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, con un’accelerazione paurosa negli ultimi mesi è un esodo biblico di società italiane vendute e comprate da società non italiane o semplicemente rilocate all’estero. Tra i nomi che ci vengono in mente: Pirelli, Ansaldo Sts, Gtech/Lottomatica, Indesit, Sorin, World duty free e poi Parmalat, Bulgari, e poi ancora Fiat diventata americana/olandese, Ferrari, Edison, l’aeroporto di Pisa, quello di Firenze, ecc. Stiamo parlando in molti casi di società grandi, in alcuni casi tra i leader globali o continentali nei rispettivi settore. La proporzione di questo fenomeno non ha eguali in Europa ed è senza precedenti; non solo si assiste a uno svuotamento di Piazza Affari clamoroso, ma a una perdita incalcolabile per il sistema Paese che lascia la presa su un quantità ormai davvero importante di sistema industriale.
Insieme al sistema industriale con il controllo e lo spostamento di sedi e teste si perdono le figure più “alte”, i manager e dirigenti a cui si pagano stipendi con relativi consumi e tasse che sono un multiplo di quelli degli operai; questo senza considerare la ricerca. Il rovescio della medaglia di famiglie imprenditoriali che passano da uno a due miliardi di euro di ricchezza è spesso quello di centinaia di licenziamenti. I premi pagati e l’appetito insaziabile per le società italiane dovrebbe quanto meno far venire il dubbio che quello che per noi è da vendere per altri invece è da comperare a qualsiasi prezzo. Chi ha ragione? In un mondo in cui tutti si stanno ributtando sull’industria (la giga factory costruita in Nevada valga per tutti) chi fa davvero l’affare? L’elenco di ulteriori potenziali vendite è secondo questo schema sostanzialmente sterminato: infrastrutture (le torri e le autostrade?), società industriali, banche e assicurazioni. Un governo e un Paese che non si chiede le ragioni profonde di questo fenomeno e non prova a fare sistema quando parla di sviluppo e rilancio fa solo demagogia.
Spesso le operazioni di cui sopra sono state presentate come “inevitabili”, “necessarie” per crescere e in questo senso sicuramente razionali e davvero lungimiranti. Davvero? Anche Pirelli? Anche Gtech che fa lotterie? Anche Parmalat? Anche Ferrari? Dove sono le sinergie in questi casi? Facciamo un esempio a caso. Perché Italcementi e Buzzi Unicem non si sono fuse dando vita a un’operazione che tutti consideravamo assolutamente naturale per non dire perfetta (si sarebbe finalmente risolto il problema della sovraccapacità in Italia) e che avrebbe dato vita a un mini campione nazionale che sarebbe potuto diventare molto di più presentandosi come soggetto aggregante? L’alternativa alla vendita in questo caso c’era. Certo, non si può obbligare la gente e non si possono eliminare, magari, antipatie personali, però almeno si potrebbe smettere di bollare, sempre e in ogni caso, come assolutamente necessarie e inevitabili operazioni che invece sono una precisa scelta tra le diverse possibili. Nel nostro caso italiano, ultimamente, sempre molto simili a vendita e rendita.