Ieri, dopo un breve comunicato stampa del ministero dell’Economia, abbiamo appreso che la quotazione di Poste Italiane avverrà entro la fine dell’anno con la collaborazione del meglio del meglio della finanza italiana e internazionale. Il comunicato stampa ci informa che “dai primi contatti con gli investitori è emerso che l’operazione di quotazione di Poste Italiane beneficia di una forte associazione con la stagione di riforme, rinnovamento e modernizzazione del Paese nella quale è impegnato il Governo. L’operazione è percepita come un simbolo del cambiamento in atto nel Paese”. Il comunicato stampa ci dice anche che per favorire equilibrio tra shareholder e stakeholder “l’offerta di azioni riserverà quote rilevanti all’azionariato popolare e privilegi specifici per i dipendenti”.



Nelle poche righe del comunicato stampa invece non compare mai alcuna parola associabile al concetto di vendita o cessione. Eppure siamo sicuri che la quotazione in questo caso significhi la cessione agli investitori di una quota di Poste Italiane e che dopo l’operazione lo Stato italiano avrà una partecipazione inferiore a quella attuale. Facciamo finta, però, che questo sia un dettaglio trascurabile. Il comunicato stampa non ci dice che a dispetto del nome e forse anche di quanto ancora si ritenga nell’immaginario collettivo dei 28,5 miliardi di euro circa di ricavi di Poste Italiane (nel 2014) solo 4 sono “servizi postali e commerciali” mentre 18,8 sono servizi assicurativi e 5,5 quelli finanziari che generano quasi la metà del reddito operativo.



Sarà quindi sicuramente per la grande speranza di rinnovamento, che la cessione sul mercato di una quota di Poste Italiane significa, che il meglio del meglio della finanza italiana e internazionale ha deciso di aiutare il governo italiano (Global coordinator saranno nove banche italiane ed estere tra cui: Mediobanca, Banca Imi, Bank of America Merril Lynch e Citigroup, mentre tra i bookrunners ci sono Credit Suisse, Ubs, Goldman Sachs, Jp Morgan e Morgan Stanley). O forse sono le laute commissioni e ancora di più l’appetito esagerato che il mercato ha in questa fase per il risparmio e la sua gestione; un appetito testimoniato dalle incredibili performance azionarie dei titoli del settore quotati in Italia oltre che delle loro recenti performance economiche.



Controllare i risparmi per la cronaca fa molto bene sia perché sui bond non si guadagna più una lira (meglio riabituarsi, non si sa mai, a certe valute), sia per gli evidentissimi impatti strategici che comporta poter indirizzare decine di miliardi di euro da una parte o dall’altra; vi ricordate per esempio lo spread a 550? Vogliamo qui dare un numero tra i tanti: il risparmio postale di Poste Italiane è 325 miliardi di euro. Abbiamo detto miliardi e non milioni senza sbagliarci. Scommettiamo che l’Ipo di Poste Italiane sarà un successo e scommettiamo anche che andrà in porto anche se i mercati avessero qualche nervosismo. Ma è chiaro che tutto questo non ha niente a che fare con “piccole” valutazioni economiche e finanziarie mentre invece noi gretti che scriviamo a sentire certi numeri ci sentiamo già come zio Paperone con i dollari negli occhi sul trampolino da cui si tuffa nel mare di monete d’oro del deposito.

Non ci eravamo accorti, essendo in buona compagnia, della stagione di riforme del Paese dato che per ora non sono neanche stati scalfiti i principali nodi di un’amministrazione pubblica fuori controllo economico e senza alcuna efficienza. Ma il risparmio e i soldi non hanno “nazione” e quelli raccolti in Italia possono sia finanziare un’autostrada in Molise che una in Nuova Guinea. In compenso abbiamo avuto un “dejà vu”. Siamo proprio sicuri che “le quote rilevanti riservati all’azionariato popolare” e i “privilegi specifici per i dipendenti” siano compatibili con un’operazione di mercato moderna e degna di un Paese civile? Non avevamo detto che oltre certe dimensioni le deviazioni dalla forma pura di società per azioni fossero incompatibili con la quotazione?

Vogliamo parlare del fatto che sempre secondo il ministero economico uno degli obiettivi strategici della quotazione sia “la sostenibilità del ruolo sociale dell’azienda” e del fatto che “l’attenzione al ruolo dell’azienda nella comunità nazionale sia peraltro parte integrante del piano industriale”?. Siamo confusi ma pazienza. D’altronde ci hanno anche detto che le popolari dovevano finire perché simbolo di un passato oscuro, anche se non ci pare che dopo Lehman e Parmalat qualcuno abbia proposto di eliminare le spa o dopo lo scandalo sul Libor le banche d’affari. Eppure autorevolissimi quotidiani danno proprio in questi giorni conto di attenzione di grandi e grandissime banche straniere per le relativamente piccole o piccolissimi ex-popolari; il risparmio fa proprio gola a tutti in questi giorni…

Quale è l’obiettivo strategico vero della quotazione di Poste Italiane? Qual è il senso per la politica industriale dell’Italia? A questo punto non importa se ci sia, importa invece che nessuno ce l’abbia detto chiaramente e che ci siano solo poche frasi confuse e sconclusionate. Eppure stiamo vendendo il, di gran lunga, più grande contenitore di risparmio nazionale. È solo un gioco per far parlare bene dell’Italia sui quotidiani che contano? Ma è consigliabile giocare in questo modo con centinaia di miliardi di euro di risparmio?

Quello che non capiamo noi che ci preoccupiamo per un’economia fragilissima lo capiscono invece benissimo le banche d’affari e gli investitori globali che metteranno magari non due mani ma almeno qualche dito su centinaia di miliardi di euro di risparmio. Senza idee chiare certe cose sembrano davvero molto pericolose oppure, ovviamente, molto interessanti.