Nelle sfortunate vicende che hanno coinvolto l’aeroporto Fiumicino – e che da giorni se non settimane occupano la cronaca nazionale – è finora mancato un nome che in un modo o nell’altro, a torto o a ragione, ci saremmo aspettati, prima o poi, di leggere o sentire; per trovare il nome che manca dalle tristi cronache di queste settimane e mesi, iniziate con un corto circuito e finite con un black-out passando per un paio di incendi, si deve forse cercare tra le parole del principale danneggiato dei disservizi e cioè dell’ex compagnia di bandiera Alitalia.
In un comunicato stampa diffuso il 29 luglio, Alitalia-Etihad, l’unica compagnia aerea ad avere il proprio hub a Fiumicino, si esprimeva in questi termini: “L’aeroporto di Fiumicino non è ancora un’infrastruttura adeguata a fungere da hub di una compagnia con le nostre ambizioni”. “I problemi di Fiumicino nascono da anni e anni di investimenti e pianificazione inadeguati e sono ormai strutturali, auspichiamo meno attenzione alla finanza e più attenzione al mercato e alle esigenze dei passeggeri”.
Di chi, o meglio, a chi sta parlando Alitalia quando lamenta la mancanza di investimenti, l’inadeguatezza dell’infrastruttura e un approccio che privilegia la finanza all’attenzione dei passeggeri? Con ogni probabilità Alitalia sta parlando al titolare della concessione dell’aeroporto di Roma e cioè AdR e cioè Atlantia, titolare anche di Autostrade per l’Italia, il cui principale azionista è la famiglia Benetton. AdR ha ottenuto in concessione gli aeroporti di Roma fino al 2044 con un contratto cominciato nel 2013. I nipoti di chi oggi fa l’università, mentre cambiano governi, partiti, valute e magari anche unioni europee, pagheranno una tariffa allo stesso soggetto di oggi; questo però è un altro, lungo e interessantissimo, discorso.
Quello che importa è che il nuovo concessionario ha ottenuto un aumento cospicuo delle tariffe che rendesse economico un piano di investimenti per ammodernare gli aeroporti di Roma di 11 miliardi di euro nel corso della concessione; il rendimento reale pre tasse di questi investimenti è dell’11,91% (ognuno confronti questo rendimento con quelli ottenibili oggi sulle obbligazioni e faccia i conti). L’incremento delle tariffa ha comportato un aumento del reddito operativo di Adr nel 2013 da 285 milioni a 423 milioni, più 140 milioni, mentre gli investimenti sono aumentati di circa 75 milioni (da 52 milioni a 128). Nel 2014 il reddito operativo è aumentato di altri 37 milioni (da 423 a 460), mentre gli investimenti pari a 173 sono aumentati di 35 milioni. Nel corso degli ultimi 2 anni Adr ha distribuito ai suoi azionisti circa 200 milioni di euro di dividendi (un po’ più di 60 nell’esercizio 2013 e quasi 130 nel 2014). Non siamo magari dei geni della finanza, però, non sembra un business particolarmente brutto da gestire finanziariamente.
Easyjet a metà giugno ha deciso di cambiare base a aerei e flotta spostandoli da Fiumicino lamentandosi di tariffe più che raddoppiate dal 2012 con aumenti superiori ai tassi di inflazione negli anni a venire: sono gli effetti prodotti dalla concessione che già conosciamo benissimo sulle tariffe autostradali, mentre “l’aeroporto di Fiumicino fornisce un’esperienza di viaggio povera” “all’interno di un trend in deterioramento”. La finanza della concessione dell’aeroporto funziona benissimo, ma il servizio sia secondo la low cost Easyjet che secondo Alitalia-Etihad non va bene. Alitalia-Etihad, sempre nel comunicato stampa del 29 luglio, ha concluso con questa frase: “Se Fiumicino continuerà a puntare su compagnie low cost e servizi mediocri, Alitalia sarà costretta a spostare la sua crescita altrove”.
Sicuramente quanto successo a Fiumicino nelle ultime settimane è dovuto anche a eventualità impreviste e certamente non riconducibili alla responsabilità del concessionario (AdR/Atlantia), ma le critiche di Easy Jet e Alitalia-Etihad sembrano più “di sistema” ed esulano dagli ultimi episodi sfortunati. Rivolgersi al concessionario o quanto meno farsi delle domande sulla bontà di una concessione che scadrà tra 29 anni non dovrebbe essere particolarmente strano, soprattutto di fronte alle critiche dei principali utenti. Eppure l’enorme dibattito di questi giorni non ha neanche nemmeno sfiorato questioni che sono invece chiaramente sostanziali e che non possono toccare l’attuale “proprietario” dello scalo.
Un proprietario (indiretto), Atlantia, che in questi giorni viene dato in corsa insieme a un fondo sovrano cinese, l’assicurazione Allianz e un fondo infrastrutturale gigantesco come Macquarie per l’acquisizione, in un’operazione da private equity puro, della compagnia tedesca Tank&Rast (stazioni di servizio in autostrada); un’operazione da 3,5 miliardi di euro. Cioè chi ha comprato le autostrade italiane (e poi l’aeroporto di Roma) oggi si trova nelle condizioni di sfidare i fondi sovrani in operazioni da private equity miliardarie.
Forse c’è qualcosa che non va e che su cui bisognerebbe davvero riflettere molto, tanto più in una fase in cui si grida per i pochi investimenti; sicuramente c’è qualcosa che non va in un dibattito che si dimentica completamente dei soggetti in campo.