In una settimana solitamente abbastanza tranquilla la Borsa italiana, oltre che per le ormai note vicende finanziarie cinesi, si è nuovamente distinta come uno dei mercati più effervescenti del globo in cui non manca mai qualche rialzo spettacolare. “Delclima”, spin-off della più famosa “sorella” De Longhi, ha messo a segno un iperbolico rialzo dell’81% dopo l’annuncio dell’acquisizione della quota di maggioranza da parte di Mitsubishi Electric; la famiglia De Longhi cederà ai giapponesi la propria quota dietro un corrispettivo di circa 500 milioni di euro.
L’incredibile ondata di acquisizioni a cui si è assistito negli ultimi mesi si arricchisce di un’altra puntata e diventa quasi inevitabile chiedersi cosa rimarrà ancora di quotato, di questo passo, in Italia visto che solo nel 2015 sono passate di mano Italcementi, World Duty Free, Ansaldo Sts, Sorin e Pirelli, tutte acquisite da società estere, tutte destinate a lasciare il listino di Milano e tre delle quali appartenenti all’indice principale. Alla lista del 2015 si possono aggiungere le liste del 2014, 2013 e così via inserendo nomi come Parmalat, Lottomatica/Gtech, Indesit, aeroporti, ecc. Praticamente un esodo senza precedenti ma soprattutto senza paragoni in altri mercati europei; questo esodo ha ovviamente contribuito alla performance del mercato azionario italiano che, ancora oggi, è il migliore d’Europa.
Avendo bene in mente questo percorso è singolare che il giorno prima dell’ennesima Opa con delisting sul listino italiano il Financial Times abbia deciso di riempire una pagina intera con una sorta di panegirico di Renzi in veste di “cheer-leader”, così lo definisce l’FT, delle società italiane che comprano società estere. Insomma, leggendo l’articolo che celebra i 59 miliardi di euro di operazioni di fusione e acquisizione in Italia nel 2015 si ha l’impressione che in realtà il fenomeno sia bidirezionale se non addirittura l’esatto opposto; d’altronde l’unico elenco che il giornale ci fornisce è quello delle società comprate dalle imprese italiane e non viceversa.
L’elenco comprende le recentissime acquisizioni di PartnerRe e dell’Economist (una quota) da parte di Exor, quelle fatte da Unicredit e Lavazza, una quota di minoranza del 7% di Hugo Boss da parte di Zignago e una acquisizione modesta (200m) di Ferrero; qualsiasi criterio si usi per confrontare “entrate” e “uscite” vedrebbe invece le seconde di moltissimo superiori sia per numero che per dimensione complessiva. Un’osservazione obiettiva del fenomeno “M&A”, fusioni e acquisizioni, sul mercato italiano non consegna uno scenario di scambi “bidirezionali”, ma uno di grandissime e numerosissime vendite con qualche sporadica acquisizione tra l’altro, fatta spesso da società non quotate e concluse con quote non di controllo.
“L’eccitazione” del Financial Times per quanto sta avvenendo sul mercato italiano è comprensibilmente la stessa di molti dei suoi lettori che hanno potuto festeggiare notevolissimi rialzi e notevolissime commissioni a corredo di operazioni in cui società italiane andavano al servizio di altri progetti strategici e industriali di altre società e “sistemi Paese”. Ma l’eccitazione si può forse anche spiegare con il fatto che tutto fa pensare che il fenomeno sia molto lontano dalla conclusione.
Già nei prossimi mesi, nota ancora l’FT, sul piatto finiranno sia le fusioni tra le ex-popolari, sia tra le utility regionali: altri rialzi, altre commissioni e magari altre Opa. Non ci stupiremmo poi, aggiungiamo noi, se il 2015 non avesse finito di regalarci qualche altra emozione con altre cessioni di società industriali. Chiunque operi sui mercati probabilmente condividerà questi sentimenti sicuramente per il breve periodo mentre invece per il lungo periodo, se italiano, si potrà affacciare qualche perplessità per un fenomeno che inevitabilmente porta a una significativa e permanente marginalizzazione del mercato italiano.
Per tutti gli altri invece questa euforia lascia il tempo che trova mentre rimangono grandi dubbi se ci sia davvero da gioire per un fenomeno solo italiano e se, per caso, tutto questo non abbia qualcosa a che fare con la crisi economica e industriale da cui non si riesce a uscire.