“Se Italia si è rimessa in moto è merito del Pd, dire che è merito del Quantitative easing della Bce è da economisti del Mulino Bianco, perché meno male che il Qe c’è ma aiuta sulle turbolenze finanziarie. Sostenere che stiamo ripartendo perché ci sono fattori esterni è banale e frutto di pigrizia intellettuale: dopo decenni di occasioni perdute ci siamo messi a fare le cose che dovevamo. Se falliamo abbiamo perso noi, se vinciamo avrà vinto l’Italia”. Quelle appena riportate sono le frasi con cui il nostro premier Matteo Renzi ha deciso di analizzare la situazione economica italiana in occasione della direzione del Pd di ieri, dando una lezione di economia a uno stuolo di economisti, agenzie di rating e bravi giornalisti nazionali e internazionali dall’alto di una situazione in cui a luglio si è toccato il massimo storico di disoccupazione giovanile al 44,2%, a sette mesi dalla ripresa e a 5 mesi dall’introduzione del Jobs Act, e una disoccupazione del 12,7%.
Dire che questo scenario sia una ripartenza, mentre si toccano vette sconosciute di emigrazione, oltre che inaudito è un’amarissima beffa per centinaia di migliaia di disoccupati. Ma i numeri si prestano come noto quasi a qualsiasi analisi e di fronte ai dati drammatici di luglio il nostro ministro del Lavoro Poletti sosteneva che eravamo di fronte “a dati soggetti a quella fluttuazione che caratterizza una fase in cui la ripresa economica comincia a manifestarsi”.
Noi “economisti” del Mulino Bianco ci chiediamo come mai l’Italia nel 2015 crescerà dello 0,7% mentre la Spagna di quasi il 3%; il +0,7% italiano del 2015 non è neanche quel minimo riflesso incondizionato che ci si aspetterebbe da un’economia che viene da otto anni di crisi in una sorta di congiuntura astrale favorevole fatta da un Quantitative easing senza precedenti, un prezzo del petrolio ai minimi degli ultimi sei anni e un euro ai minimi degli ultimi dieci anni contro il dollaro. Nonostante questa congiuntura astrale, l’Italia non cresce e non produce niente di particolarmente diverso da un errore statistico, al punto che ancora a luglio e nonostante un Jobs Act che ha reso fiscalmente molto conveniente assumere, il mercato del lavoro rimane più tragico che drammatico.
In ogni caso tra le vittime degli strali di Renzi, “gli economisti da Mulino Bianco”, si possono includere: il Financial Times, che a fine maggio scriveva che il miglioramento delle prospettive economiche italiane “è stato in gran parte dovuto a fattori esterni” e che fissava come termometro massimo della ripresa italiana il calo della disoccupazione; Fitch, che a fine aprile scriveva che “l’andamento economico italiane rimane debole” e che metteva tra le principali cause della “ripresa” l’indebolimento dell’euro, il calo del petrolio e le politiche della Bce, evidenziando come la ripresa italiana “fosse più debole agli altri membri dell’eurozona”; Standard & Poor’s che a metà maggio scriveva che la ripresa italiana era principalmente dovuta a fattori esterni come, calo del prezzo petrolio e indebolimento dell’euro; e infine perfino il Fondo monetario internazionale (quello che ha tentato di salvare la Grecia) che a inizio luglio diceva che la ripresa italiana è debole nonostante il Qe.
Se l’Italia ci ha messo del suo non si spiega come mai l’Europa preveda per l’Italia la quarta peggiore crescita del Pil dell’area euro nel 2015, dietro a Grecia, Cipro e Finlandia, e la seconda peggiore nel 2016 dietro alla sola Finlandia. A parità di condizioni, l’Italia fa peggio di Portogallo e Spagna. Magari la colpa è da attribuire a chi è arrivato prima. Allora prendiamo a prestito le analisi del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating.
Per il Fondo monetario internazionale, sempre a inizio luglio, l’Italia aveva fatto due riforme: il Jobs Act, che ha gelato qualsiasi mobilità nel mercato del lavoro ma che ha lasciato completamente intatto l’efficientissimo sistema pubblico, e la riforma delle banche popolari che ha certamente contribuito a rendere “interessante” la borsa di Milano e che ha costretto un quarto del sistema bancario italiano a spostare le proprie priorità sul consolidamento. Queste sarebbero secondo il Fmi le riforme di Renzi, mentre quelle di Pubblica amministrazione, educazione, sistema giudiziario e fisco stanno “progredendo”.
Dell’elenco di consigli che ci ha lasciato il Fondo monetario a fine luglio – aumento dell’efficienza del settore pubblico, miglioramento della giustizia civile, flessibilità del lavoro e liberalizzazioni – possiamo, forse, mettere una mezza casella sulla flessibilità del lavoro; mezza perché come noto il Jobs Act riguarda solo i privati. Sulle riforme difficili, spending review ed efficienza del settore pubblico, non si è visto praticamente niente; a meno che per spending review non si intenda il taglio orizzontale delle prestazioni sanitare che colpisce indiscriminatamente sia i sistemi sanitari efficienti che quelli inefficienti.
“Ci siamo messi a fare le cose che dovevamo”, dice Renzi; non per il Fondo monetario, non per Fitch, non per S&P e non per il Financial Times. E nemmeno, ed è quello che importa davvero, per il 44,2% di giovani italiani in cerca di lavoro.