In occasione di un convegno in Italia, l’analista per i rating sovrani di Moody’s Marco Zaninelli ha espresso alcune considerazioni sulle ultimissime vicende “istituzionali” del Bel Paese. In particolare, l’analista è intervenuto sulla parte più sensibile del dibattito politico attuale, affermando che “la riforma elettorale sosterrà la stabilità politica, ma il suo successo dipende dalla complementare riforma del Senato” e che “l’importanza della riforma del Senato riguarda il processo di discussione delle leggi: il bicameralismo perfetto ha portato negli anni a leggi che alcune volte non sono state particolarmente efficaci e mirate rispetto ai problemi che dovevano risolvere”: la legge elettorale è “credit positive”. Nella sua presentazione l’analista di Moody’s ha continuato dicendo che la ripresa in Italia è “bassa” e “lenta”, ma “è in atto un ampio processo di riforme strutturali che una volta completato avrà effetti positivi sull’economia e il profilo di credito del Paese”.

Volendo parafrasare in modo brutale, la tesi sarebbe che l’economia italiana non va particolarmente bene, non ci volevano analisti e agenzie di credito per accorgersene, ma le riforme elettorali e del Senato sono quello che ci vuole per iniziare. Leggere una promozione di Renzi e un “upgrade”, o forse addirittura un assist, del suo governo non sembra particolarmente fantascientifico, ma le analisi delle agenzie di rating e dei loro analisti devono comunque essere considerate per intero.

Per esempio, Fitch in una nota del 24 aprile attribuiva lo zero virgola di ripresa italiana che stiamo vedendo, quella stessa che Moody’s ritiene bassa e lenta, ai seguenti tre fattori: politiche monetarie della Bce, indebolimento dell’euro e decremento dei prezzi del petrolio. Il governo italiano, nel caso specifico, non aveva alcun merito per la ripresa che stiamo vedendo anche perché in questi 5 mesi, pausa estiva inclusa, non ci sembra si siano registrate particolari novità legislative e i numeri sul Jobs Act sono ancora di difficilissima interpretazione. Riassumendo: la ripresa italiana per Moody’s è debole e per Fitch, e, ci piacerebbe sapere se Moody’s condivide come la ormai stragrande maggioranza di istituzioni ed economisti, attribuibile a fattori esogeni.

La lista delle riforme che l’Italia dovrebbe fare è particolarmente lunga e soprattutto complicata e si trova puntualmente in tutte le analisi delle agenzie di rating degli ultimi mesi piuttosto che in quelle del fondo monetario internazionale. S&P a maggio ricordava la spending review, la riforma dell’amministrazione pubblica, il taglio della burocrazia e il miglioramento della giustizia civile su cui concordava, per esempio, anche il Fondo monetario internazionale a fine luglio. Lo stesso analista di Moody’s ieri ricordava “la limitata flessibilità della contrattazione salariale”, i limiti del sistema di tassazione per cui occorrerebbe un taglio dell’imposizione sul lavoro e imprese e infine precisava che il progetto del governo di riduzione dell’imposizione sulla casa potrebbe compromettere i conti se non venisse adeguatamente finanziata.

Un avvertimento nell’ultimo punto particolarmente antipatico perché veniva seguito dalla previsione di un cambiamento di umore degli investitori in caso di mancata discesa del rapporto debito su Pil.  La spending review infatti rimane sostanzialmente inattuata fatta qualche eccezione tra cui un taglio orizzontale delle prestazioni sanitarie.

Comprendiamo che la stabilità del governo sia un valore per le agenzie di rating e forse perfino un sistema che sia strutturalmente molto meno suscettibile di cattive sorprese e cambiamenti in corso d’opera, ma le crocette sulla lista delle riforme che veramente interessano il 12% di disoccupati sono pochissime. Per il momento l’economia italiana viene trasportata da una serie di fenomeni esogeni, alcuni assolutamente eccezionali come il dimezzamento del prezzo del petrolio, e non si intravede niente di simile a una vera ripresa. Forse la riforma del Senato e quella elettorale sono idee giuste, ma su tutto il resto siamo sostanzialmente allo zero; soprattutto se il termine di paragone sono i consigli finanziari delle agenzie.