A pochissimi mesi dalla quotazione, Inwit è già al centro di rumours per un possibile cambio di azionariato; in particolare, la società che Telecom Italia ha quotato alla fine di giugno (che opera “nel settore delle infrastrutture per le comunicazioni elettroniche, nello specifico quelle dedicate all’ospitalità di apparati di trasmissione radio, per le telecomunicazioni e la diffusione di segnali televisivi e radiofonici”) interesserebbe alla neo quotata spagnola Cellnex. Telecom Italia dopo la quotazione è rimasta azionista con una quota del 60% di Inwit, che evidentemente non viene considerata completamente strategica; le ipotesi circolate contemplano sia la cessione dell’intera quota che di una parte significativa della partecipazione, mentre il nome del compratore è solo uno e appunto corrisponde a Cellnex.

Il nome è particolarmente sensato perché Cellnex si è quotata dichiarando urbi et orbi di voler diventare il consolidatore europeo nel settore delle torri avendo iniziato, tra l’altro, comprando quelle di Wind in Italia. L’amministratore delegato di Abertis, che ha quotato Cellnex, si esprimeva pochi mesi fa in questi termini: “Come dimostra il recente accordo con Wind in Italia, le dinamiche di mercato per un operatore infrastrutturale indipendente nel settore telecom europeo sono molto favorevoli e Cellnex è in buona posizione per sfruttarle”. L’ad di Inwit invece dichiarava: “Nei prossimi due anni ci potrebbe essere un percorso di consolidamento nel settore delle torri di trasmissione” e “Inwit ha le caratteristiche per parteciparvi”. L’ipotesi di un cambio dell’azionariato di Inwit ha pochissimo a che fare con la fanta-finanza e moltissimo con la finanza.

Il mercato italiano si conferma l’eldorado dell’M&A anche a settembre e nel caso di Inwit coinvolge una società con una capitalizzazione, 2,7 miliardi di euro, assolutamente rilevante per la borsa di Milano. Poco importa se in una prima fase Cellnex sarà azionista in coabitazione con Telecom Italia perché pochissimi dubbi si potranno nutrire sull’identità del socio industriale. Non si può poi evitare di rilevare che il consolidamento del settore verrà fatto da una società spagnola che “conquisterà” il mercato italiano, dopo aver già comprato le torri di Wind, quando in linea teorica Inwit avrebbe avuto tutte le caratteristiche per candidarsi a ricoprire lo stesso ruolo in Europa.

Il rammarico continua per la situazione in cui versano altre due società di torri, Ei Towers e Raiway, che non sono arrivate alla fusione solo ed esclusivamente per l’intervento del governo che ha impedito a Raiway di accettare l’offerta di Ei Towers per evitare che il controllo pubblico scendesse sotto il 50%. In un settore indifferenziato e indifferenziabile che non ha nessuna relazione con i contenuti la ricerca di sinergie, come dimostra Cellnex, è la strategia industriale migliore.

Se non si possono ottenere sinergie creando un campione nazionale si possono sempre migliorare le performance accettando offerte di acquisto. Il teorema di una Mediaset, che controlla Ei Towers, che avrebbe danneggiato il “servizio pubblico” controllando Rai Way non ha mai convinto nessuno sia perché RaiWay sarebbe rimasta nell’azionariato, sia perché le concessioni in termini di governance sarebbero state sostanziali. Il business delle torri è un business finanziario e di sinergie e le recenti avventure di Mediaset nella pay per view dovrebbero convincere tutti che la società di Cologno non sta inseguendo improbabili disegni di dominio ma solo sinergie e maggiori ritorni.

È davvero surreale constatare come il mercato italiano sia stato non solo il primo a vedere la quotazione di soggetti infrastrutturali nel settore delle torri, ma che abbia già tre società quotate di cui due, Ei Towers e Rai Way, che fanno esattamente la stessa cosa in un business in cui è impossibile differenziare il servizio, e un’altra, Inwit, che è assolutamente contigua. Il tratto surreale della vicenda è che in un Paese alla disperata ricerca di campioni e società quotate dopo un’emorragia senza precedenti e in un’economia che avrebbe disperato bisogni di ospitare grandi multinazionali che pagano stipendi a tre cifre si rischierà di assistere all’incredibile epilogo di perdere tutte e tre le società di torri (o almeno due) a tutto vantaggio di quello che sarà un colosso europeo con sede in Spagna; Paese in cui verranno pagate tasse e che ospiterà manager e sede.

Forse al posto di annunciare grandiosi progetti sulla rete di cui non parla già più nessuno si sarebbe potuto lavorare di sistema per un altro epilogo avendo, sostanzialmente, già tutte le carte giuste in mano. Ci consoleremo con un altro disinteressatissimo articolo del Financial Times sulla vivacità della Borsa italiana e sul ruolo provvidenziale del nostro primo ministro.