CROLLO DELLA BORSA. Il mercato italiano ieri ha chiuso una giornata complicatissima con un calo del 4,8%; la performance da dimenticare è avvenuta in un contesto di ulteriori ribassi dei prezzi del petrolio (sotto i 27 dollari al barile) e di cali diffusi tra i listini azionari continentali e globali, dato che le principali borse europee sono scese di oltre il 3%. Alcuni motivi di questi scivoloni sono ormai diventati letteratura; le preoccupazioni sull’andamento dell’economia cinese sono sicuramente un fattore a cui si aggiunge il crollo delle commodities, petrolio incluso, con le ripercussioni su molte economie in via di sviluppo o sui Paesi produttori e su molti settori industriali e sviluppati delle economie avanzate. Oggi ci si interroga sull’esposizione del sistema finanziario americano allo “shale oil” statunitense oppure sugli effetti che i cali dei prezzi hanno sulle società legate al petrolio o su chi esporta in Paesi produttori. È chiaro, insomma, che si stia assistendo a un circolo vizioso che non si sa bene come e dove si possa fermare.
Queste però sono le premesse per chiedersi se in realtà non si stia entrando in un’altra recessione globale. Il mercato non è preparato a un rallentamento globale, perché i mercati ai massimi e le stime di utile invece assumevano un ulteriore recupero economico. Tra le stime del mercato e i livelli a cui trattavano i listini e uno scenario di rallentamento globale c’è in sostanza un vuoto d’aria pauroso in cui tutti sono obbligati a rifare completamente i conti buttando nel cestino le assunzioni fatte solamente un mese fa. Incorporare un rallentamento conduce a una correzione molto significativa dei mercati. Le banche centrali sembrano aver finito le munizioni perché i tassi sono già a zero. Questo è il quadro generale che poi si applica ai casi particolari tra cui quello europeo e quello italiano.
L’Italia entra in questa fase in una situazione vicinissima ai minimi economico-finanziari dall’inizio della crisi del 2007; la disoccupazione è vicinissima ai massimi e si è potuto festeggiare a denti strettissimi un aumento di Pil da prefisso telefonico dopo anni di vacche magrissime. Questa situazione è particolare perché molte altre economie sono invece molto sopra i minimi raggiunti dopo la crisi. Il caso più emblematico sono gli Stati Uniti, che vengono da una serie positiva di aumenti significativi del Pil e che hanno raggiunto un tasso di disoccupazione del 5%. È vero che rimangono criticità non risolte, è vero che il tasso di partecipazione al lavoro e altri indicatori segnalano che non tutto è stato recuperato dall’inizio della crisi, ma è altrettanto evidente che il punto di partenza attuale è molto migliore del “minimo”; questo vale anche per altre economie europee. Ciò a cui si sta assistendo in questi giorni è un nuovo sguardo dei mercati sull’Europa periferica e, in particolare, sul suo rappresentante più importante e cioè l’Italia.
L’Italia è in una situazione economica e finanziaria fragile ed è facilmente attaccabile da chi voglia il suo male o da chi invece voglia solamente guadagnare. Il punto di attacco non è più lo “spread” o “il rendimento del decennale” perché i tassi sono a zero o quasi e perché la Bce ha in essere un Quantitative easing. Il punto di attacco è, come si è visto in questi giorni, un sistema bancario che non è stato sanato una volta per tutte dalle scorie della recessione. È vero che altre banche europee sono in condizioni di salute precarie, ma sollevare dubbi e costruire una storia sulle mitiche sofferenze bancarie in un Paese dove si sono appena viste le perdite sui bond subordinati e che ha una disoccupazione superiore al 10% è un esercizio letterario che potrebbe fare anche un semi analfabeta.
Non importa che sia vero o meno, non importa che ci siano altre banche europee in pessime condizioni e non importa nemmeno che la maggior parte del sistema bancario italiano sia sano; quello che importa è che la storia che si racconta sia verosimile e la verosimiglianza è suffragata da raffiche di aumenti di capitale fatti sul mercato e dalle ultime vicende di cronaca bancaria.
I rumour su ulteriori verifiche sulle banche italiane che gentilmente e magicamente sono usciti da fonti europee qualche giorno fa fanno sicuramente pensare alla malafede a cui poi si attacca la “buona fede” di chi vuole “solo” fare la performance a fine mese. Il sistema Paese italiano, ancora oggi e nonostante tutto, dà la fortissima impressione di muoversi molto lentamente e di non sapere o volere mettere al riparo il sistema bancario; questa lentezza è miele per i mercati che possono spingere la situazione fino al punto di rottura (le code agli sportelli di alcune delle principali banche italiane?) lucrando su ulteriori ribassi.
Mentre la borsa perde il 5% e alcune banche più del 20%, il Governo parla della riforma del Senato…Il jolly della riforma delle popolari è già stato usato…e quello della ripresa anche….sulla bontà delle riforme fatte in Italia possiamo citare il “voto” di ieri dei mercati che hanno punito l’Italia più di ogni altro Paese europeo, Grecia inclusa. Non ci avevano raccontato che la borsa italiana saliva perché finalmente era tornata la fiducia dei mercati sull’Italia? Che faceva le riforme? Finito l’effetto del calo dell’euro, di quello sano del petrolio e della liquidità su tutti i mercati indistintamente emergono i valori veri.