Ieri i mercati hanno vissuto un’altra giornata decisamente particolare. Il conto finale per la borsa di Milano, -3,49%, dice molto poco di quanto accaduto nelle ore di borsa aperta. Ci sono almeno tre fenomeni inclusi nella performance di ieri. Il primo è l’andamento ancora una volta fortemente negativo delle banche italiane a cui non sono state risparmiate sospensioni per eccesso di ribasso: Intesa Sanpaolo -5% Unicredit -6,5%, ecc. Il secondo è la performance nettamente negativa, anche se migliore di quella delle banche, di alcune delle principali società industriali e di servizi. Il terzo è la performance positiva delle società legate al petrolio in una giornata in cui si è per qualche ora creduto che la Russia e l’Arabia Saudita avessero trovato un accordo per concordare un taglio della produzione. Il petrolio è arrivato a sfiorare i 35 dollari al barile trascinandosi dietro una parte del listino prima di scoprire che l’accordo su un taglio della produzione non era imminente. Senza lo strappo al rialzo del petrolio (poi in buona parte rientrato) oggi staremmo commentando una performance ancora più negativa.
La borsa italiana si è ancora una volta guadagnata la medaglia d’oro di peggiore d’Europa, ma il resto del continente non festeggia, con la Germania in calo del 2,5% e la Francia dell’1,4%. È diventato molto difficile, per non dire impossibile, ignorare i cali della borsa o attribuire le performance giornaliere alle “lune” degli investitori. Con la chiusura di ieri Piazza Affari ha annullato tutto il rialzo del 2015; è decisamente troppo per non cominciare a chiedersi quali siano gli elementi strutturali e di fondo a essere cambiati.
Le banche italiane continuano a essere prese di mira. Si è già chiarito che l’inizio della volatilità sulle banche italiane più fragili è partito per una “maldestra” gestione in sede europea della notizia di un’ulteriore fase di indagine sulle banche italiane e sui loro attivi. La volatilità è continuata perché la performance economica italiana è oggettivamente debole, e quindi si riflette nei bilanci delle sue banche, e perché il sistema non è stato in grado, né è in grado, di pulire le banche dalle scorie lasciate da ormai quasi dieci anni di crisi. La bad bank all’italiana varata mercoledì appare talmente conveniente e risolutiva che ieri Fitch dubitava, dando voce a un’opinione praticamente plebiscitaria sul mercato, che le banche italiane ne faranno mai uso; per Fitch “la capacità del meccanismo di migliorare significativamente la qualità degli attivi del sistema bancario è limitata”. Fitch dice limitata, ma il mercato probabilmente pensa praticamente nulla. Chi pensava che dagli incontri europei di Padoan potesse uscire se non la medicina finale almeno un buon ricostituente è rimasto completamente deluso. L’Italia deve quindi mettere al riparo il sistema bancario da sola, senza alcun aiuto europeo in una situazione economica che nella migliore delle ipotesi è stagnante.
Le preoccupazioni sull’Italia e gli attacchi avvengono però in un quadro che appare profondamente cambiato rispetto allo scorso autunno. L’economia cinese sta rallentando e la sua valuta si deprezza causando volatilità sui mercati; si fanno strada forti dubbi sulla tenuta della crescita americana e sulla validità delle previsioni di crescita attuali sulla sua economia; la crisi economica e politica europea continua ad apparire senza soluzione e non si vede il minimo segno di inversione. La Fed ha già sparato moltissime cartucce e la Bce non le può sparare a causa dell’opposizione della Germania.
In questo scenario, in cui non mancano crisi geopolitiche, si assiste al triste spettacolo di un’Europa in cui si discute di decimi di Pil e in cui si decide di affossare, in un intento punitivo e in un clima di competizione cattiva, il sistema bancario della terza economia dell’area euro. Il mercato non era preparato a incorporare un rallentamento, se non una crisi, nel 2016, oltre tutto in un contesto deflattivo. La deflazione colpisce le banche duramente e due volte sia perché le toglie margine di interesse, sia perché rende vulnerabili i bilanci fatti di prestiti concessi in altri scenari e ad altri valori che devono essere onorati con utili, o stipendi, calanti.
Le performance del mercato si spiegano probabilmente con il lento adattamento a uno scenario completamente diverso rispetto a quello di tre mesi fa; uno scenario di crisi e deflazione da cui, tra l’altro, non si capisce bene come si possa uscire e in cui si possono manifestare picchi di volatilità e ulteriori incognite. L’Europa non ha palesemente alcuna risposta e anzi continua imperterrita in una strategia che ormai al di là di ogni dubbio non può funzionare e che non ha funzionato nemmeno per un’economia piccola come quella greca che anzi continua a sprofondare. L’Italia ha la sua parte di colpe storiche e attuali e dà l’impressione di non essere ancora pronta e disponibile ad affrontare i suoi veri problemi tra una regalia elettorale, la difesa ostinata dello status quo burocratico amministrativo e la mancanza totale di un progetto complessivo di sviluppo a medio lungo termine che non sia il turismo.