Il petrolio ha chiuso ieri ai minimi dalla primavera del 2009, quando la crisi Lehman aveva fatto crollare i prezzi per le preoccupazioni sulla tenuta della domanda globale. Tornando indietro nel tempo, prima della crisi “Lehman”, questi prezzi, circa 33 dollari al barile, non si vedevano dal 2004; gli effetti della crisi finanziaria del 2008 sul prezzo del petrolio non sono però equiparabili allo scenario attuale, dato che allora i prezzi erano stati sotto i 60 dollari al barile solamente per sei mesi mentre oggi si può festeggiare tranquillamente un anno di prezzi sotto i 60. Il ritornello degli ultimi 18 mesi che si è sentito sui mercati e tra gli osservatori era che i prezzi sarebbero inevitabilmente risaliti in un orizzonte temporale di medio periodo e in molte occasioni si è ritenuto che il peggio, e i minimi, fosse passato. Solamente due mesi fa in pochi avrebbero creduto ai prezzi che stiamo commentando in questi giorni. In sostanza i prezzi continuano a scendere nonostante le previsioni e si fa moltissima fatica a capire quale sia un futuro possibile per il prezzo del petrolio, avendo l’impressione che siano saltati tutti i punti di riferimento.

Per orientarsi può essere utile fare riferimento a una ricerca pubblicata da Bank of Montreal qualche settimana fa, in cui si tenta di rispondere a questa domanda: i prezzi del petrolio possono arrivare a 20? Tra i meriti della ricerca c’è quello di non “vendere” una tesi a effetto, ma piuttosto quello di cercare di capire cosa stia succedendo e cosa possa succedere senza escludere a priori nessuno scenario. Bisogna fare alcune premesse. Gli effetti delle oscillazioni del prezzo del petrolio non riguardano solamente i risparmi o i rincari dei prezzi della benzina, oltre che di quelli dell’energia elettrica del riscaldamento e, per esempio, della plastica, ma hanno enormi effetti finanziari ed economici nella misura in cui determinano il destino di economie molto rilevanti e di un settore industriale particolarmente sviluppato.

Fatta questa premessa, Bank of Montreal, che pure prevede un prezzo di circa 60/80 dollari nel medio periodo, conclude che in assenza di un taglio della produzione dei paesi Opec il prezzo debba scendere a 35-40 (più o meno dove eravamo qualche giorno fa) prima che i Paesi non-Opec comincino a tagliare e conclude che i prezzi potrebbero spingersi a 20 dollari al barile, un valore oltre al quale si scenderebbe sotto ai costi di cassa.

Per Bank of Montreal servono prezzi di almeno 40-50 dollari per mantenere la produzione attuale e di almeno 60-70 per investire in nuovi progetti. Queste stime di buon senso e di lungo periodo si scontrano però con il fatto che, indipendentemente da quanto speso in passato, si può avere incentivo a produrre fino a che non si comincia a perdere sulle “spese vive”. Il crollo del prezzo del petrolio, inoltre, alimenta un circuito vizioso in cui crollano le valute dei Paesi produttori che continuano a produrre a costi più bassi un bene che invece si vende in dollari. Gli operai prendono uno stipendio in rubli, per esempio, ma estraggono un barile di petrolio che si vende in dollari. Il solo fatto che esista la possibilità di toccare un fondo sensibilmente più basso del prezzo attuale fa includere questa ipotesi tra quelle esplorabili ed esplorate dagli investitori finanziari.

Le ipotesi di quotazione di Saudi Aramco, rilanciate dallo stesso principe saudita giovedì, dipingono uno scenario in cui a Ryad potrebbero arrivare altre risorse per continuare la battaglia a colpi di ribassi del prezzo e di mancati tagli della produzione allungando sensibilmente il periodo di possibile resistenza ai prezzi attuali. L’ipotesi è rilevante perché dimostra che nemmeno in questo scenario di crollo ci sono ripensamenti da parte saudita.

Le previsioni di prezzi sensibilmente più alti nel medio periodo non sono particolarmente utili se non vengono corredate da un orizzonte temporale: mentre il petrolio torna ai valori “giusti” di medio periodo, gli stati falliscono e le società petrolifere più deboli anche. I mercati finanziari, nel frattempo, non sembrano felicissimi di una situazione in cui si accumulano rischi e incertezze, finanziarie e geopolitiche, sostanzialmente imponderabili.