Le borse europee ieri hanno tremato per l’ennesimo, pessimo, rumour/notizia sulla solidità patrimoniale di Deutsche Bank; dieci hedge fund, secondo Bloomberg, avrebbero tagliato la propria esposizione verso Deutsche Bank, una scelta che segnala una preoccupazione molto forte sulla tenuta stessa della banca. Il titolo dell’unica banca sistemica tedesca viaggia ai minimi degli ultimi trent’anni e il prezzo delle azioni non è l’unico, e nemmeno il più importante, segnale di un nervosismo massimo nei confronti di una banca che avrebbe nella propria ragione sociale il nome di una delle economie più forti, se non la più forte, del globo.
L’amministratore delegato di Deutsche ha dato la colpa in una lettera ai dipendenti alle “forze che agiscono ora sui mercati che mirano a indebolire la fiducia nei nostri confronti”. Davvero? Deutsche Bank trattata come una banca italiana qualsiasi dai cattivi del mercato? Si deve premettere che la vicenda di Deutsche Bank è molto di più dei suoi riflessi finanziari in un’Europa in cui sul rispetto delle regole sui salvataggi di stato si è decisa di sacrificare la credibilità della terza economia dell’area euro; che saremmo noi italiani. La “questione Deutsche” ieri ha messo in seria difficoltà l’euro prima che per magia sull’apertura dei mercati americani avvenisse un’inversione così rapida che nemmeno l’azione chirurgica di una banca centrale.
Ma torniamo alla questione banco-bancaria; la banca tedesca è chiacchieratissima sui mercati da almeno dieci anni e per dieci anni non solo sono stati smentiti tutti i rumour di aumento di capitale, ma sono stati passati con stile anche tutti i test e i contro-test europei; quelli che bocciavano le banche italiane. Nessun bilancio bancario e tanto meno nessuna lettura per quanto attenta potrà mai consentire una rappresentazione efficace di un istituto con centinaia di miliardi di attivi impiegati sui complicatissimi e turbolentissimi mari della finanza globale.
Siccome non c’è bilancio che tenga e siccome, mai dimenticare, Lehman Brothers era a posto per tutte le agenzie di rating a qualche settimana dal fallimento, l’unica moneta che conta è quella della fiducia e soprattutto la storia che il sistema costruisce e difende sulle proprie banche. Qualcuno oggi provi a “speculare” su una banca americana contro la Fed e il suo governo. Nel caso di Deutsche ci sono tutti i capitoli, le armi del delitto, gli orari e le intercettazioni per montare una storia perfetta per la speculazione. Come saranno e di cosa saranno pieni i bilanci di una banca di investimento che è passata per la crisi del 2007, un paio di crisi da austerity in Europa negli anni dopo e che non ha mai fatto un aumento di capitale? Una banca che ha molto appetito per la finanza derivata. Appigliarsi all’esito degli stress test è ovviamente ridicolo.
La verità è che sul mercato la “speculazione” colpisce dove ci sono fragilità per testare le capacità di risposta del sistema. Il sistema bancario italiano colpito dalla “speculazione” era vittima di una storia che si raccontava benissimo: un Paese senza crescita, passato per due crisi, una globale e l’altra regalata dagli amici europei nel 2011, e senza possibilità di difendersi con i salvataggi statali (quelli che hanno fatto tutti in Europa) a causa di un’interessatissima rigidità europea.
Oggi Deutsche Bank ha tre opzioni. La prima è quella di non fare niente e lasciare fare alla “speculazione”, ma lasciare fare ai mercati e consentire che notizie come quella del ritiro della liquidità dei fondi hedge vadano avanti è un gioco molto pericoloso, soprattutto nell’attuale fase finanziaria globale. Il fallimento di Lehman rispetto a quello di Deutsche Bank sarebbe un mortaretto. La seconda è fare un bell’aumento di capitale; c’è solo un problema, perché significherebbe ammettere che la banca non è stata trasparente fino a oggi e che i test europei non servono a niente. Ammettere un aumento di capitale comporterebbe la perdita della faccia e sarebbe comunque molto difficile da gestire; l’impresa ardua sarebbe quella di convincere il mercato che l’aumento è una volta per sempre. Ma se una banca non ha i bilanci a posto, ha centinaia di miliardi di attivi e deve fare un aumento, chi può garantire che non serva ancora in futuro? Nessuno, e infatti il danno di immagine sarebbe perenne e la banca sarebbe sempre alla mercé della prossima ondata di rumour esattamente come per il sistema bancario italiano.
Il terzo scenario, quello risolutivo quello che risolve la fragilità, è quello di un intervento statale che fermi per sempre la speculazione. È quello che è successo in Inghilterra, per esempio, con la nazionalizzazione delle banche dopo la crisi del 2008. Sappiamo però che l’Europa non vuole. Il secondo in cui Deutsche Bank viene salvata dal suo governo è il secondo in cui finisce l’Europa; nemmeno uno sforzo titanico di propaganda riuscirebbe a nascondere che le regole in Europa sono solo lo strumento del dominio dei più forti sui più deboli e che la loro flessibilità è tanto grande quanto le esigenze dei tedeschi o dei loro aiutanti di turno. Per questo l’attacco a Deutsche Bank è un attacco all’Europa; anzi, molto meglio, a questa Europa a guida tedesca.