A un mese e mezzo scarso dal referendum sulla riforma costituzionale, il primo ministro Renzi ha ricevuto “l’endorsement” di Obama direttamente dalle pagine di Repubblica. Proprio nei giorni in cui il governo italiano discute con l’Europa la finanziaria cercando di strappare qualche concessione si ritrova l’assist del presidente americano uscente contro “le misure di austerità che contribuiscono al rallentamento della crescita in Europa”. Sappiamo, grazie alle rivelazioni del segretario al Tesoro Tim Geithner, che nel 2011 Angela Merkel non ottenne l’appoggio di Obama contro Berlusconi e per l’austerità che di lì a pochi mesi avrebbe sprofondato l’Italia in una recessione paurosa; una recessione devastante di cui oggi paghiamo ancora le conseguenze sia perché ha costretto l’Italia, e solo lei, a un turno di stop mentre gli altri agganciavano la crescita, sia perché ha affossato il sistema bancario.
Obama forse non ha fatto tutto quello che poteva per difenderci dalla Merkel, ma almeno non può essere accusato di aver cambiato idea sull’austerity come invece successo al 99% della stampa e degli “economisti” “che contano”; solo due anni fa certe tesi non sarebbero neanche arrivate a pagina 30 ed erano pura eresia. Chissà chi ci sarebbe oggi a Washington se “l’austerità” non fosse mai arrivata.
In ogni caso Obama pensa che “la visione e le riforme che il primo ministro Renzi sta perseguendo siano importanti”, che “l’economia italiana ha ricominciato a crescere”, che “più italiani stanno lavorando”. In serata è arrivato anche l’assist per il sì al referendum. Forse da Washington, con un oceano di mezzo, alcune cose che succedono in Italia o che sono successe negli ultimi due anni rischiano di sfuggire. Negli ultimi due anni in Italia abbiamo visto una colossale dormita in occasione del mancato salvataggio di alcune banche locali esattamente dodici mesi fa; una dormita che è costata moltissimo al sistema bancario italiano e a tutto il sistema Paese; il terzo gruppo bancario italiano, Monte Paschi, è da mesi in balia di rumours e ipotesi di salvataggio “di mercato” sempre più fantasiose.
L’ex monopolista delle telecomunicazioni italiano, che sarebbe la chiave per lo sviluppo della rete, ha oggi come azionista di riferimento un finanziere che sulle pagine del Financial Times viene tranquillamente definito come “raider” mentre si firmano e si sfirmano accordi con quello che sarebbe pur sempre il primo operatore privato media italiano. La principale azienda manifatturiera italiana, Fiat Chrysler, guidata da un “amico” di Renzi, ha in questi due anni abbandonato l’Italia sia come sede legale che fiscale, sia come primo mercato di quotazione.
La prima assicurazione italiana e la prima banca italiana hanno due francesi come amministratore delegato (sarebbe inconcepibile sia a Parigi che a Washington), e uno dei due, Unicredit, tratta con il colosso transalpino del risparmio Amundi la cessione di due o tre centinaia di miliardi di risparmio italiano. La compagnia aerea di bandiera langue continuando a perdere anche con il petrolio a 40 dollari al barile; metà del Paese potrebbe probabilmente vivere di turismo almeno sei mesi all’anno. Nel frattempo continua il bengodi dei concessionari autostradali italiani.
Potremmo infine citare il collasso in cui versa il settore delle costruzioni in un Paese che ha un deficit infrastrutturale di almeno vent’anni e in cui non si riesce a far partire un’infrastruttura che sia una; le neonate metropolitane milanesi o l’alta velocità sono il frutto di altri governi. La riforma delle popolari è nata tra rumour, come neanche le bombe, di insider trading. Il Jobs Act ha distrutto per sempre il contratto a tempo indeterminato e in compenso ha congelato il mercato del lavoro. La “spending review” è finita nel dimenticatoio e in abbiamo i bonus diciottenni pre-elettorali. I dati sul lavoro di ieri certificano una situazione in cui la ripresa è praticamente una leggenda metropolitana.
A proposito di referendum e riforma elettorale, le situazioni da “uomo forte” con controllo totale e senza contrappesi ultimamente, anche molto vicino a noi, sembrano essere state risolte cruentemente con rivoluzioni più o meno colorate e golpe più o meno riusciti. La fanta-politica nell’Europa 2016-2017, quella della Brexit e delle elezioni austriache (o olandesi o francesi) sembra molto poco “fanta” e si arriva con velocità a conclusioni che sembravano impossibili. Forse anche in questo caso ci si dovrebbe avvicinare di più per capire cosa sta accadendo; prima di dover “curare” è sempre meglio prevenire.