A preoccupare i mercati non sarebbe l’Italia che in questi giorni sta trattando con l’Europa per qualche decimo di deficit in più o in meno consentito nella finanziaria, ma l’Europa in quanto tale. Questa è la tesi del nostro primo ministro ed è molto probabilmente vera. L’Europa non è l’unica macro-area ad avere elementi di debolezza strutturale; negli ultimi otto anni il divario tra ricchi e poveri negli Stati Uniti si è allargato a livelli senza precedenti, i dati sul mercato del lavoro raccontano di tanti americani che hanno smesso di cercare e la bolla finanziaria fa paura. Lo stato di salute del sistema finanziario cinese è ignoto e i Paesi emergenti sono stati colpiti duramente dal crollo dei prezzi delle materie prime. L’Europa è l’unica però che negli ultimi otto anni non è neanche arrivata vicino a risolvere i suoi problemi strutturali; l’esempio più clamoroso è la situazione greca, dove le “cure” europee hanno solo e sempre affossato il Paese.
Le contraddizioni in Europa oggi sono evidenti al punto che ci si chiede apertamente quanto possa durare l’attuale costruzione europea e la sua valuta. Nei prossimi dodici mesi ci saranno elezioni in Austria, Francia, Olanda e Germania; in almeno tre di questi Paesi partiti antieuropeisti sono dati o per vincenti o per serissimi contendenti. Le principali economie si fanno la “guerra” a colpi di opa oppure, come nel caso libico, per guadagnare posizioni a danno dell'”alleato”. Infine, intere zone dell’Europa non riescono a trovare con l’attuale valuta e nell’attuale costruzione una via per la crescita. È sicuramente il caso italiano, con la stampa estera, spesso anglosassone, che sottolinea l’incredibile divario aperto con il resto d’Europa dalla data dell’introduzione dell’euro, chiedendosi se i prossimi a voler uscire, dopo la Brexit, non siano proprio gli italiani. La crisi combattuta con la ricetta europea dell’austerity o quella bancaria con le regole sul bail-in e ancora oggi con le battaglie sui punti di deficit, mentre l’Italia viene “travolta” dai migranti, non ha grandi possibilità di risolversi.
Appena qualche mese fa sulle colonne del Financial Times, che ha difeso il remain a spada tratta, ci si chiedeva se il problema delle trattative sulla Brexit non si risolverà da solo semplicemente perché non ci sarà più una “Europa” con cui trattare. L’immagine di una Brexit votata da un mucchio di panzoni inglesi, ignoranti e razzisti, sembra ogni giorno che passa la scelta strategica consapevole di chi ha abbandonato la nave prima che affondi; oggi l’Inghilterra può decidere come risolvere i suoi problemi economici, di immigrazione o finanziari e può decidere con chi allearsi.
L’Europa e la Bce sicuramente fanno comodo quando si tratta di comprare materie prime e di piazzare obbligazioni statali, ma questa comodità è un’arma di ricatto colossale che diventa tanto più forte quanto più l’economia italiana affonda; ma è lecito dubitare che l’economia italiana si possa risollevare, anche con tutte le riforme giuste che continuano a non esserci, senza un minimo di leva su politiche anticicliche e obbligata, direttamente o indirettamente, a liberarsi di asset industriali strategici. Una leva che in questa Europa non ci sarà mai con i vincoli di bilancio in Costituzione e con i tedeschi che continuano a essere nella posizione di poter massacrare i loro principali competitor europei.
Sembra perfino che tutti, a cominciare dagli inglesi, si stiano preparando al post-euro o al post-Europa attuale. Per prepararsi si deve mettere mano sulla quantità maggiore di beni strategici dalle industrie alla finanza-risparmio e mettere all’angolo i principali concorrenti; sembra la storia europea degli ultimi cinque anni. Il debito non si può ripagare, né può scendere, soprattutto nell’attuale crisi, in un orizzonte temporale visibile; questo vale anche per il debito giapponese, francese o americano. Almeno, anzi, in Italia ci sarebbe ancora il risparmio.
Se è vero che il problema è l’Europa, come dice Renzi, e se come sembra l’Europa non cambia né di fronte a crisi economiche secolari, né di fronte a flussi migratori da esodo biblico, allora ci si dovrebbe preparare il più possibile per quando ci sarà un’Europa molto diversa dall’attuale. Per questo le piccole concessioni per le piccole regalie, le riforme raffazzonate per conquistare un titolo di giornale o le mancate battaglie sugli asset industriali strategici non servono assolutamente a niente, soprattutto se la prospettiva è “ingraziarsi” o mettersi più o meno a posto con l’Europa. L’Italia può anche mantenere la stabilità di breve, ma il numero di possibili incidenti di percorso per l’Europa sembra sempre più alto. Anche la Brexit era impossibile il giorno prima del voto. Dire che il problema è l’Europa sembra tutto l’opposto che un’auto-assoluzione per l’Italia, soprattutto se il problema Europa è di questa portata.