Nel mare magnum delle notizie finanziarie “pre-referendum” di ieri, in cui da settimane si dipinge il 4 dicembre come l’ennesimo appuntamento di vita o di morte per l’economia italiana, due notizie meritano di essere salvate e sottolineate. La prima è una dichiarazione del ministro dell’Economia Padoan in cui si conferma “l’intenzione del Governo di proseguire con il programma di dimissione del patrimonio immobiliare pubblico e di privatizzazioni”. La seconda è che ieri il governo di un Paese che sarebbe alla vigilia di una sorta di olocausto finanziario ha piazzato un Btp a 50 anni al tasso del 2,8%; la cosa divertente è che non solo il costo è bassissimo rispetto a qualsiasi emissione comparabile del passato, ma che ci sono state richieste per quasi 4 volte l’ammontare richiesto. La gente si strappa di mano un’obbligazione italiana a 50 anni, chi scrive sarà probabilmente morto, mentre ci si interroga su quando finirà l’euro e l’Europa.
In questa fase in cui fare debiti non costa niente e la gente sbatte la testa per trovare un modo di impiegare la liquidità mostruosa con cui sono stati inondati i mercati a tassi minimamente positivi, quali sono le privatizzazioni del governo italiano? L’ultima si chiama Enav; il governo italiano è l’unico al mondo che ha privatizzato il diritto di passaggio sui propri cieli, un “bene” tra l’altro “geo-politicamente” molto sensibile, e che garantisce rendimenti praticamente certi agli azionisti. Il rendimento da dividendo di Enav ai prezzi di ieri, che sono già superiori ai prezzi di vendita dello Stato italiano a meno di tre mesi dalla quotazione e nonostante la performance pessima della borsa italiana, è di circa il 4,9%. Ognuno di noi può capire che vendere un bene che rende il 5% sicuro per non pagare un debito che costa il 2,8% è senza senso finanziario.
Forse si potrebbe obiettare che i soldi incassati subito possono essere impiegati a rendimenti superiori; sappiamo però che le opere pubbliche sono ferme e che più di rinnovi contrattuali ai dipendenti pubblici, bonus per i 18enni e canoni in bolletta – la Rai (quella dei venti e passa giornalisti a Ventotene) sarà probabilmente l’unica società media italiana con i ricavi in crescita a doppia cifra nel 2016 – non si parla.
La prossima privatizzazione sarà quella delle parte “migliore” delle ferrovie; un’altra privatizzazione fatta apposta per garantire ai compratori rendimenti sicuri su beni strategici. La storia delle privatizzazioni autostradali è un monumento alla stupidità del venditore, che siamo noi, dato che pur essendo società esposte praticamente alla sola Italia hanno grafici più da new economy al Nasdaq che da società quotate a Milano. Ma l’Italia è il paradiso del concessionario e del compratore di aziende statali. L’immagine che da di sé un Paese che accetta questi scambi è devastante; è l’immagine di un imprenditore che non solo non crede nella propria azienda, ma che non ha nessuna idea se non quella di venderla a pezzetti. Un venditore di questo tipo è un venditore che si autocondanna a non avere alcun potere contrattuale.
Per completezza esaminiamo la possibilità che l’obiettivo del governo italiano sia quello di ridurre il debito lordo; davvero? Il debito lordo italiano non può essere intaccato in modo minimamente sostanziale da nessuna privatizzazione di nessun tipo. Lo testimonia non solo il fatto che pur avendo venduto di tutto e di più non scende mai, ma anche il fatto che le cifre di cui si parla, cinque miliardi da privatizzazioni, sono lo 0,2% circa del debito italiano. L’unica cura realistica per il debito italiano è costituta da crescita e inflazione, il resto sono solo svendite di sovranità; senza considerare che la vendita di aziende ad alto contenuto tecnologico alimenta interessi economici e strategici di altri sistemi Paese.
Mentre il governo italiano decide di vendere persino le ferrovie con i poveri viaggiatori che pagheranno il biglietto su monopoli a milionari di New York o Londra non si può proprio ignorare il destino di altri beni strategici del sistema Paese che in questi giorni sono sul mercato, a partire dalla società di gestione della prima banca italiana che rischia di venire controllato dal sistema Paese di uno Stato, la Francia, che da anni fa la guerra all’Italia, nemmeno troppo indirettamente, dall’altra parte del Mediterraneo. Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da scompisciarsi dalle risate.
Si capisce come il problema dell’Italia sia il referendum del 4 dicembre; facciamo anche in questo caso finta che nessun investitore si sia accorto che questa legge elettorale, più un Parlamento blindato, più il prossimo giro sull’ottovalente della crisi economica e politica europea del 2017 rischino di consegnare l’Italia per cinque anni senza via d’uscita a un partito “populista” di turno che non sa neanche da che parte cominciare a governare o che provi ad attuare qualche programma strampalato. Viste queste premesse verrebbe quasi da dire che sia la condizione ideale perché queste “privatizzazioni” e spoliazioni di sistema Paese continuino… fino al punto finale.
Non dovrebbe essere rimasto più nessuno a credere che “i mercati” o “l’Europa” vogliano il bene dell’Italia, soprattutto se dal suo male nascono così tante opportunità di acquisto e di minore concorrenza.