L’evento “americano” della settimana rischia di far passare in secondo piano uno degli eventi finanziari italiani dell’anno. Il rendimento del decennale italiano nell’ultima settima è esploso passando da 1,7% a oltre il 2%, completando un movimento che dall’inizio di agosto ha visto il tasso di interesse sul debito pubblico a dieci anni raddoppiare; oggi siamo a livelli che non si vedevano dall’estate 2015 e molto superiori allo shock post-Brexit. La curva ha un andamento verticale che se non si fermasse porterebbe nel giro di pochissimo tempo a un radicale cambiamento di percezione sull’Italia; sempre ammesso che questo cambiamento di percezione non sia già avvenuto.

Sappiamo che la diminuzione dello spread e la discesa del decennale sono stati indipendenti dall’andamento dell’economia italiana e hanno avuto come origine le politiche di immissione di liquidità prima della Fed e poi, soprattutto, della Bce. Allo Stato italiano veniva chiesto di pagare meno interessi nonostante gli indicatori economici non mostrassero alcun miglioramento sostanziale.

Bisogna chiedersi cosa sia cambiato quindi nelle ultime settimane. La risposta più gettonata è che questo avvenga per i timori sull’esito del referendum del 4 dicembre. Questo sembra un po’ troppo in una fase in cui sta succedendo di tutto, come dimostra l’elezione di Trump martedì. L’instabilità politica italiana è un’inezia rispetto a quello che sta succedendo fuori e soprattutto abbiamo assistito a casi, come quello spagnolo, in cui nemmeno un anno e passa senza governo ha avuto effetto. A sostegno di questa tesi, e cioè che il referendum del 4 dicembre c’entri relativamente, c’è anche l’analisi di Standard & Poor’s di ieri sera.

Secondo l’agenzia di rating, “una vittoria del no non sarebbe di per sé significativa per il merito di credito del Paese, a meno che non porti a un’inversione di marcia sulla strada delle riforme strutturali”. Potremmo parafrasare in questo modo: non c’importa niente di come eleggete e organizzate i vostri governi e parlamentari purché sistemiate l’economia. Il problema è che l’economia italiana va male, che la disoccupazione non cala e che al posto di una spending review vera e di buone riforme dell’amministrazione pubblica ci sono provvedimenti pre-elettorali e riforme raffazzonate per i titoli di giornale. La velocità di esecuzione non è il problema italiano perché le popolari, vecchie di un secolo, e il contratto a tempo indeterminato sono spariti nel giro di qualche settimane senza, tra l’altro, nemmeno delle proteste.

In ogni caso ci deve essere una spiegazione per una tale esplosione del decennale. Avanziamo umilmente questa ipotesi. La “Brexit” è stata un catalizzatore per le tensioni europee, quelle per cui la Germania non vuole che la Bce compri titoli di stato italiano e faccia il Qe; le motivazioni possibili sono diverse, ma tenderemmo a escludere l’altruismo e la buona fede. Senza la Bce le fragilità dell’economia italiana che non ha mai trovato una via sostenibile alla crescita dentro l’euro sono allo scoperto e si può rifilare la mazzata finale al principale competitor manifatturiero che la Germania ha appena fuori casa. Anche la Francia “gode” se in Italia le cose vanno male al punto che le fa la guerra per procura in Libia.

La contrapposizione del primo ministro italiano contro l’Europa in questo senso è stata devastante, perché non si può immaginare che sia rimasto qualche residuo di simpatia o compassione dopo le mazzate che Renzi ha tirato in Europa nelle ultime settimane. Se già prima nessuno aveva interesse ad aiutare l’Italia figuriamoci ora….E arriviamo alla fase finale. L’unico alleato di Renzi per l’immissione di liquidità e che poteva tenere a bada la Germania con qualche manganellata stile Volkswagen era Obama/Clinton. Il problema è che da martedì al posto di Obama c’è Trump; e Trump per chi non lo sapesse è un euro scettico d’assalto che prevede da anni la fine dell’euro e dell’Europa.

Allora abbiamo: un’economia che va a rotoli nonostante il Paese abbia dimostrato di poter fare riforme pesantissime in settimane; uno scontro massimo con l’Europa che ci vuole ancora più male da quando Renzi ha deciso che si poteva permettere gli insulti; infine, il nostro “alleato” americano che è evaporato quattro giorni fa. Se qualcuno, dopo questo, pensa che una vittoria del Sì al referendum sia la soluzione e basti al mercato, allora si può solo decidere tra incoscienza incredibile o malafede.

L’Italia deve fare le riforme giuste e se proprio vuole rompere in Europa lo deve fare in modo credibile minacciando di andarsene, altrimenti sono solo sbruffonate; in questo secondo caso c’è ancora più bisogno di riforme giuste e di un apparato burocratico e produttivo in salute. Se questo governo, che è su da due anni, non ha fatto le cose giuste nonostante tutti i giornali, la Bce e gli americani e il disinteresse europeo con riforme pesanti, ripetiamo, passate nottetempo, allora invocare la vittoria del Sì per avere “questa” stabilità per risolvere i problemi è una follia. Quando la marea si ritira si vede chi nuota nudo. La marea si sta ritirando molto più velocemente di quanto si poteva credere.