Ieri Enel ha presentato il suo nuovo piano industriale. La notizia più importante però non è contenuta nelle “slide” della presentazione. La notizia più importante per 60 milioni di italiani, inclusi quelli che non hanno un contratto con Enel, è che l’ex monopolista pubblico che ha il Governo italiano come principale azionista ha deciso di fare la presentazione a Londra. Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere dopo aver letto questa notizia. Vorremmo offrire queste tre considerazioni che ci fanno disperare per l’Italia e la sua economia molto più di dieci vittorie del no.
Enel, per la cronaca, è una delle maggiori società quotate e attrae investitori a prescindere. La prima considerazione è questa. L’Italia, evidentemente, è talmente tanto ricca e ha talmente tanta crescita che decide di offrirne un po’ agli inglesi. A rallegrarsi per la presentazione non saranno ristoratori o albergatori italiani, che rimarranno a bocca asciutta, ma quelli inglesi. I tassisti di Milano non faranno corse per portare investitori globali, ma saranno quelli inglesi a guadagnare con soldi italiani. E così via per l’Atm che non vedrà un euro di biglietti, mentre la “tube” è ben contenta di prendere le lire. Il cameriere che ha scelto di rimanere a Milano o Roma si pentirà di non aver seguito l’esempio di chi si è spostato a Londra.
La seconda considerazione è questa. Ma che immagine dà di sé un Paese che decide regolarmente di far fare le presentazioni a società controllate dal suo Governo in un altro Paese? È successo con Eni, con Saipem, con Finmeccanica, con Terna. La domanda è retorica, perché l’immagine che dà di sé un Governo che asseconda questa tendenza è quella di chi è il primo a non credere nel proprio Paese. Il problema non è nemmeno che l’Italia non ce la faccia, ma che non ci prova nemmeno. Quando c’è da fare sul serio evidentemente si considera l’Italia inadeguata e la partita non si prova neanche a giocarla. Se si vende questa immagine l’impatto in chi ci guarda deve essere devastante.
La terza considerazione è questa. Ma non ci avevano detto che Londra con la Brexit sarebbe morta e che sarebbe stata colpita proprio dove fa più male e cioè nella sua industria finanziaria? A cinque mesi dal referendum è ancora “business as usual” per Londra e il suo mercato e quando bisogna chiedere soldi bisogna fisicamente andare dove ci sono gli investitori, perché altrimenti si rischia che i soldi vengano messi da un’altra parte.
Lo scambio di battute di settimana scorsa tra prosecco e fish & chips diventa un manifesto. Ieri non si è bevuto prosecco a Milano o a Roma, ma in compenso si è mangiato fish & chips, perché nessuno vorrà mai perdere i consumatori di Londra o i suoi investitori con i loro miliardi. E se a Londra non arriva il prosecco si può sempre trovare qualcuno disposto a offrire un buon alcolico. In compenso l’Italia deve continuare a dannarsi per esportare. A cinque mesi dal referendum sulla Brexit è sempre l’Italia che si muove per fare la corte agli investitori di Londra. Chi ha vinto?