Se vince il No le banche italiane in difficoltà rischiano di fallire. Questo è il titolo finito in prima pagina del Financial Times ieri a una settimana esatta dall’esito del referendum del 4 dicembre. La tesi sarebbe questa: se Renzi, che è il campione della soluzione di mercato per le banche italiane, perde, allora le banche italiane in difficoltà andrebbero incontro a un periodo di incertezza mentre verrebbe posticipata, prolungando l’attuale incertezza, una soluzione.
Ammettiamo che, titolo a parte, l’articolo dell’Ft non sia per niente chiaro e in particolare non spieghi affatto perché la vittoria di Renzi dovrebbe migliorare la situazione o imprimere una svolta in positivo. Il sistema bancario italiano è nella situazione attuale per tre ragioni: la prima è relativa a due recessioni avvenute in Italia a distanza ravvicinata (quella del 2009, dopo il fallimento di Lehman Brothers, e quella del 2012, indotta in Italia dall’Europa via Monti e austerity); la seconda è che l’Italia prima non ha voluto statalizzare le banche in difficoltà, probabilmente anche per salvaguardare alcune “autonomie politiche”, e oggi non può farlo perché l’Europa non vuole per motivi che appaiono interessati e che coincidono con l’esigenza di individuare un capro espiatorio, i soliti italiani fannulloni e pasticcioni, che faccia da scudo a tutte le altre banche e economie in difficoltà; la terza ragione è la pessima gestione della crisi di quattro banche locali un anno fa.
In questo ultimo caso aver ammesso la possibilità che chi ha sottoscritto un’obbligazione di una banca italiana possa perdere i suoi soldi ha distrutto la credibilità di tutto il sistema. Il mercato sa da anni che Deutsche Bank e buona parte del sistema bancario tedesco è estremamente “fragile”, ma l’immagine è stata difesa fino alla morte dal sistema. In questi casi difendere l’immagine è molto simile a difendere la sostanza in un settore che si basa sulla fiducia, perché è impossibile capire cosa ci sia nei bilanci.
Per lo stesso Ft Monte Paschi è l’emblema delle banche italiane. L’effetto su Montepaschi della gestione della crisi di quattro banche locali di dodici mesi fa è stato devastante; ma ancora più devastante è stato assistere per mesi e mesi a ipotesi di salvataggio “di mercato”, più o meno sponsorizzate dal governo, che ogni giorno che passa sembrano sempre meno attuabili. Non si capisce chi, come e perché oggi dovrebbe versare miliardi di euro in banche di un’economia che non cresce, di uno Stato che non può salvarle, che non fa buone riforme e che oltretutto continua a buttare soldi inutilmente per campagne elettorali.
Tutto questo esattamente come la sopravvivenza dell’euro, secondo l’Ft di settimana scorsa, non ha niente a che vedere con il referendum. Non si capisce per quale magia il giorno dopo una vittoria del Sì senza che cambi un solo fattore aumenterebbe le possibilità di salvataggio; considerato che rimarrebbe al potere il governo che sta gestendo il problema da tre anni e che in più è andato allo scontro con l’unica istituzione, l’Europa, che nel breve potrebbe, forse, cambiare qualcosa. L’ultima operazione di “sistema” frutto dell’abolizione delle popolari e cioè Banco popolare/Bpm non sembra al momento, visti i grafici di borsa e gli ultimi rumours, una prova di capacità di gestione di un sistema bancario in difficoltà.
Si continuano ad attribuire all’esito del referendum proprietà magiche quando il problema agli occhi dei mercati è quello di un Paese che non solo non ha fatto buone riforme, pur avendo dimostrato di poter fare riforme (così come scriveva l’Ft qualche mese fa), ma che si è messo a litigare con l’Europa per ottenere flessibilità per una cattiva spesa pubblica.
Il giorno dopo il referendum tutti i problemi italiani, incluso quello bancario, saranno esattamente identici al giorno prima; bisogna solo chiedersi se al netto di una cattiva riforma costituzionale o di un cattivo governo. Per il resto possiamo solo rimpiangere il fatto che l’Italia, e al mercato non è sfuggito, negli ultimi dodici mesi, di fronte a cambiamenti epocali e a una crisi che fa paura, è stata concentrata sulla vittoria alle amministrative e poi su un referendum che non sposta né un punto di Pil, né un singolo problema strutturale, né risolve un aumento di capitale di alcuna banca; il tutto con bonus diciottenni e compagnia. Un’incoscienza incredibile che abbiamo già pagato cara. Illudersi che una vittoria del Sì possa rinfrancare i mercati dopo tutto questo è solo altra incoscienza. D’altronde chi si fida dopo quanto successo negli ultimi dodici mesi?