Mentre i mercati si interrogano sull’esito delle elezioni americane di settimana prossima, che in teoria dovevano essere una sfilata trionfale per Hillary Clinton e che in pratica sono diventate un Vietnam fatto di colpi bassissimi, lo spread e il decennale italiano si sono mossi molto e male. All’inizio di ottobre lo Stato italiano “pagava” a chi comprava le sue obbligazioni decennali l’1,2% e oggi l’1,7%: un’enormità in così poco tempo, tanto più in una fase di tassi schiantati e politiche espansive della Bce. Lo spread contro il decennale tedesco è aumentato di una quindicina di punti nello stesso periodo.
La principale scuola di pensiero spiega questo fenomeno con l’incertezza legata al referendum: ieri il ministro dell’Economia Padoan ha dichiarato che “sul mercato ci sono timori che l’azione di politica economica del governo si interrompa”. Si può scegliere se la tesi sia che l’Italia che vota “No” non voglia fare le riforme oppure, come forse più probabile, che il “No” apra una fase di incertezza politica. Vale sempre la pena ricordare che questa preoccupazione per la riforma costituzionale dell’Italia, che da un punto di vista economico-finanziario è insignificante, avviene a sei mesi dalla Brexit e due trimestri scarsi dall’inizio di una fase elettorale molto complicata in Europa.
Questa scuola di pensiero dovrebbe almeno spiegare come mai invece il decennale e lo spread spagnolo siano praticamente fermi in una fase che, appunto, sconsiglierebbe di mettere soldi in Paesi traballanti. La Spagna è stata senza governo per un anno e a fasi più o meno ricorrenti emergono tensioni “secessionistiche” al cui confronto quelle italiane sembrano liti condominiali. L’Italia avrebbe anche, sempre in teoria, la possibilità di far vedere al “mercato” un paio di riforme particolarmente pesanti come l’abolizione manu militari delle popolari e la riforma del lavoro che ha letteralmente cancellato il contratto a tempo indeterminato (sostituito da qualcosa che è al massimo un buon contratto a tempo determinato).
C’è un’altra questione che la scuola di pensiero maggioritaria dovrebbe spiegare. Oggi il “mercato” non può avere una visione di medio-lungo periodo; le questioni aperte per i prossimi mesi sono talmente serie che è praticamente impossibile fare scommesse sul lungo. È inutile preoccuparsi delle riforme che l’Italia farà nei prossimi cinque anni se l’Europa finisce prima in una delle prossime elezioni, se la Fed comincia ad alzare i tassi e manda in fibrillazione i mercati oppure molto banalmente se la politica americana cambia radicalmente tra sette giorni.
Possiamo partire dal presupposto che il mercato sia concentrato sul breve periodo in una fase molto complicata in cui è difficile prevedere gli esiti perché si devono prendere in considerazione cambiamenti che non sono la semplice evoluzione dello stato attuale; la Brexit è un esempio di un fatto che non è la semplice evoluzione della situazione precedente e lo stesso una vittoria di Trump martedì. In questa fase di incertezza, il messaggio del mercato è che l’Italia non è “messa male” per le sue prospettive a cinque anni, ma per quello che è in questo momento. Le fragilità economico-finanziarie italiane non solo sembrano senza soluzione, ma continuano a peggiorare. Il dibattito economico “italo-italiano” di questi giorni è lo stesso di dodici mesi fa ma peggio; è da dodici mesi che il tema “italiano” è il suo sistema bancario e oggi chi apre i giornali legge le stesse cose di dodici mesi con un anno di crisi italiana in più e una situazione ancora più incancrenita perché il circolo vizioso non è stato fermato. La cronaca su Monte Paschi o sulle banche venete salvate sembra una ricopiatura di quanto si leggeva un anno fa con i problemi che hanno fatto per tre.
Non aiuta nemmeno il fatto che nessuno abbia mai fatto una spending review vera sul sistema pubblico e che invece si riproponga ogni sei mesi la necessità di “ungere” il voto magari improvvisando riforme raffazzonate fatte per i titoli dei giornali. Non osiamo neanche immaginare cosa accadrebbe se la prospettiva diventasse quella di prendere tutto per cinque anni, a livello nazionale e regionale, con la nuova legge elettorale e la nuova riforma costituzionale; praticamente una campagna elettorale lunga 18 mesi. Qualcuno provi a convincere i mercati oggi o nel 2017 che saremo molto meglio nel 2019 e che quindi bisogna investire in Italia quando non si sa nemmeno cosa succede tra tre mesi o tra cinque giorni; magari perché abbiamo fatto la riforma costituzionale che non ha aggiunto uno zero virgola di Pil o perché abbiamo lo stesso governo di prima che presumibilmente farà le stesse cose di prima.
Il giudizio del mercato è quindi sull’oggi ed è aggravato da una situazione di incertezza che chiunque capisce essere molto più ampia dell’Italia. Non si capisce perché il mercato dovrebbe cambiare idea se la medicina per l’Italia è la stessa degli ultimi dodici mesi ma più forte; probabilmente conviene preoccuparsi di più non di meno, e infatti lo “spread” sale tanto più se si continua dire che questo referendum che non cambia nulla dell’economia italiana nell’orizzonte temporale che interessa i mercati è una questione di vita o di morte.