La salita nell’azionariato di Mediaset da parte della Vivendi di Bollorè è diventata l’ultima puntata di una storia, triste, in cui l’Italia ha perso il controllo di aziende strategiche verso “partner” europei che non hanno mai garantito condizioni di reciprocità minimamente equiparabili. Rispetto a quanto successo negli ultimi giorni sulla vicenda Vivendi/Mediaset si devono forse sottolineare due aspetti. Il primo è che l’accordo originario su Mediaset premium, poi disatteso da Vivendi, già prevedeva uno scambio azionario significativo; una base da cui si sarebbe potuti partire per arrivare ad accordi di più ampio respiro, magari una fusione, in cui la quota di controllo di Fininvest sarebbe potuta diventare una quota significativa, ma non di controllo, di un gruppo più grande e più manageriale.
La seconda questione è che il modus operandi “singolare” di Bollorè, era già stato descritto su alcuni quotidiani finanziari. Il Wall Street Journal scriveva che “avere un ruolo secondario rispetto a Bolloré richiede l’apprezzamento per manovre strategiche opache” e riguardo alla sua entrata in Telecom Italia scriveva che “gli azionisti di minoranza che amano la trasparenza e vogliono incidere dovrebbero starne fuori”. Il Financial Times si collocava sulla stessa linea. Oggi Bollorè è il dominus di Telecom Italia e si candida a diventare il co-dominus di Mediaset. Aggiungiamo solo un’ultima cosa: Bollorè è talmente convinto della convergenza telecom media che in Francia ha venduto tutte le partecipazioni nel settore telecom tenendosi quelle nella pay per view. Nessuno sa quale sia l’obiettivo finale, ma parlare di una quota di controllo di Telecom Italia già promessa alla ex France Telecom non è neanche per sbaglio fanta-finanza, così come ipotizzare un gruppo europeo televisivo in cui la partecipazione di maggioranza sia “francese”. Quello che sta succedendo oggi non dovrebbe essere una novità così clamorosa visti gli antefatti.
Oggi in compenso si leggono e accadono cose che pongono le basi per novità “clamorose” di domani; novità che invece non dovrebbero stupirci particolarmente. Unicredit ha già venduto oltre 200 miliardi di risparmio italiano ad Amundi con la cessione di Pioneer e dopo un aumento di capitale da 13 miliardi di euro, superiore a ogni attesa, si candida a diventare un “partner” ideale per qualunque compratore. Una banca ormai sicuramente ripulita di sofferenze e semplificata dopo aver venduto gli asset sul risparmio gestito; un “pezzo” molto semplice da aggiungere a un’altra banca già integrata.
L’amministratore delegato di Unicredit, francese, ha già venduto Pioneer ad Amundi e gli ultimi rumour identificano in Societe Generale il “partner” futuro. Si creerebbe un gruppo “pan-europeo” in cui però gli azionisti del sistema-paese “Italia” avrebbero un peso nettamente inferiore a quelli del sistema-paese “Francia” con tutte le conseguenze del caso. Unicredit è, per la cronaca, l’unica banca sistemica italiana in Europa. L’aumento di capitale da 13 miliardi di euro è, tra l’altro, l’occasione perfetta per chi voglia raccogliere un pacchetto azionario significativo.
In questi stessi giorni montano i rumour di fusione tra Axa e Generali. L’ultima è un pezzo importantissimo della finanza italiana e una delle maggiori casseforti di risparmio italiano. Anche Generali è guidata da un amministratore delegato francese. Nelle ultime settimane non solo sono finite sui giornali ipotesi di cessione della controllata francese del gruppo, ai tedeschi di Allianz, per evitare possibili problemi di antitrust quando si farà la fusione con Axa, ma il principale azionista italiano di Generali, Mediobanca, ha detto che considererà ipotesi di riduzione della quota in Generali sotto al 10% se servisse a finanziare un’acquisizione. Molti hanno letto questa dichiarazione come l’ammissione che Mediobanca non si opporrebbe a una “fusione”.
Con che truppe finanziarie l’Italia potrà provare a opporsi ad attacchi speculativi o potrà disegnare operazioni di “sistema” che avvengono in tutto il mondo, per non parlare di convogliare risorse a imprese o infrastrutture, se l’allocazione del risparmio degli italiani viene decisa a Parigi, dove, come noto, ragionamenti da “sistema-paese” sono di casa e dove si proclama strategica anche Danone? Generali è la stessa istituzione che qualche settimana fa ha convertito i propri bond subordinati di Montepaschi e che controlla decine di miliardi di titoli di stato italiani.
Mentre rumour abbastanza inquietanti riempiono le pagine dei giornali nazionali e internazionali si creano le condizioni per le prossime notizie “clamorose” quando la battaglia è praticamente persa in partenza. Stupirsi in questi casi è la beffa che si aggiunge al danno.