In mezzo alle vacanze natalizie e nel periodo più tranquillo dell’anno Lactalis ha comunicato ieri l’intenzione di lanciare un’opa sulle azioni ancora in circolazione di Parmalat con l’obiettivo di ritirare dal mercato la società italiana. Finisce probabilmente in questo modo la storia della più grande azienda quotata alimentare italiana attiva in un settore che, in teoria, dovrebbe essere uno dei marchi di fabbrica dell’azienda Italia nel mondo e che ha nel sistema francese il concorrente più agguerrito e temibile. 

Di questa vicenda e della sua conclusione si possono dire molte cose. La prima è che la scelta del periodo in cui comunicare la notizia è particolare; con l’Italia ancora alle prese con la digestione di panettoni e spumanti la notizia non avrà probabilmente neanche la metà dell’eco che avrebbe avuto anche solo tra un mese. Oppure un mese fa, quando Vivendi scalava sul mercato la prima società media italiana. Il sistema francese evidentemente si muove coordinato così come cinque anni fa quando Lactalis acquisiva il controllo di Parmalat con tutto il supporto politico e finanziario della Francia.

In quel caso, quella che nonostante il fallimento era pur sempre la più grande società alimentare italiana salvata anche attraverso il sacrificio di migliaia di risparmiatori, veniva scalata da Lactalis e poi lasciata a languire sul mercato italiano in quella che a molti era sembrata una strategia per far dimenticare l’azione Parmalat evitando, magari, exploit in borsa che avrebbero solo fatto salire il conto dell’opa finale. Del delisting di Parmalat infatti su può dire tutto tranne che non fosse la conclusione prevedibilissima di quanto iniziato nel 2011. 

Nel frattempo la maggior parte della cassa di Parmalat, quella conquistata anche con risarcimenti danni chiesti e ottenuti dalle banche, veniva usata per comprare dal principale azionista francese una sua controllata americana; un’operazione che aveva fatto, guarda caso, parlare di enorme conflitto di interessi e da cui erano scaturite diverse indagini. Né nel 2011, né con un’acquisizione su cui il sistema Italia avrebbe potuto avere molto da dire, né con l’oblio borsistico successivo, né tanto meno ieri si è generato un minimo di opposizione.

Possiamo ripercorrere le tappe che hanno condotto all’epilogo di ieri e chiederci cosa sarebbe successo a parti inverse. Ci ricorderemmo della reazione della Francia quando Pepsi provò a comprare Danone in un’operazione bloccata direttamente dal governo francese, ci chiederemmo cosa si sarebbe detto in Francia se gli “italiani” avessero provato a usare la cassa del gruppo francese per comprare una loro controllata e poi cosa si sarebbe detto se la principale società quotata alimentare francese fosse stata dimenticata in borsa senza progetti strategici autonomi per anni. L’epilogo di ieri a parti inverse sarebbe stato impossibile. 

Oggi noi ci chiediamo come si possa pensare di ricollocare milioni di disoccupati italiani senza alcuna politica industriale e con le figure dirigenziali spostate oltre confine. Ci chiediamo anche che senso abbia parlare di riforme costituzionali o leggi elettorali quando basta un vicerè francese. Eviteremmo lunghissime e penose vicende borsistiche che alla fine si concludono sempre nel modo peggiore per l’Italia. Chi pensa a Telecom Italia o a Mediaset non è decisamente fuori strada. Magari ne riparliamo a Capodanno 2017 o a Ferragosto, ma la questione non cambia.