Ieri lo spread è sceso, il rendimento del decennale ha avuto un aumento contenuto e la borsa di Milano ha chiuso una giornata estremamente volatile con un calo dello 0,22% dopo essere stata a un certo punto in territorio ampiamente positivo. Rispetto a quello a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi con il listino di Milano sbriciolato per la crisi bancaria, praticamente non è successo niente. Dulcis in fundo: l’euro si è rafforzato sia rispetto al dollaro che rispetto alla sterlina. Sicuramente non è successo niente di paragonabile alle piaghe bibliche che venivano prospettate perché l’Italia “sceglieva di non proseguire sulla via delle riforme”. Lo sconforto di Schauble, della Merkel, dell’Eurogruppo e persino dell’amministratore delegato di Deutsche Bank di certo non possono spaventare i mercati, che hanno assistito ai frutti delle politiche europeo-tedesche con Paesi del primo mondo, la Grecia, ora pericolosamente vicini all’africa mediterranea. L’ad di Deutsche Bank che teme che “le turbolenze politiche si trasmettano all’economia” presiede una banca che oggi sarebbe irriconoscibile se avesse subito lo stesso trattamento che l’Europa ha riservato alle banche italiane, né più né meno che per una Montepaschi qualsiasi.
Qualsiasi cosa stesse facendo il governo italiano, per demeriti suoi o perché vincolato dall’Europa, non funzionava. Il debito sale e la crescita non arriva, così come l’aumento dell’occupazione. Il governo italiano ha usato la flessibilità europea per aumentare gli stipendi a categorie che non sanno nemmeno cosa sia la disoccupazione e per bonus elettorali vari mentre la disoccupazione giovanile sfiora il 40%. Il problema italo-italiano per eccellenza, quello delle banche, non è nemmeno vicino a una soluzione sistemica mentre si chiamano banche d’affari internazionali promettendo di pagare il 10% o quasi degli aumenti di capitale in commissioni. Standard & Poor’s non poteva non scrivere, come ha fatto ieri, che l’esito del referendum non cambia il merito di credito dell’Italia.
Oggi i problemi del Paese sono gli stessi di venerdì per i mercati con due differenze. La prima è relativa ai dubbi sulle conseguenze politiche di medio-lungo termine della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale; dubbi che, anche sulle pagine dei maggiori quotidiani finanziari esteri, vertevano sul rischio di una deriva “autoritaria” o di una piattaforma che avrebbe consegnato in toto il sistema a un partito “populista” senza però alcuna garanzia.
La seconda differenza è che oggi si può vendere sui mercati una possibile inversione di marcia che fino a venerdì non si poteva vendere con un governo in carica da febbraio 2014. Un governo che ha chiesto flessibilità per motivi futili, che non ha razionalizzato la spesa, vedi la sorte di Cottarelli, optando per operazione di maquillage e che soprattutto ha generato e poi non è riuscito a spezzare il circolo vizioso sulle banche italiane. L’ultima è una questione dove l’immagine che si dà e si difende non è meno importante della sostanza di banche solide perché l’economia cresce. Prima si è commesso l’errore clamoroso di non capire che il “fallimento” di quattro banche locali avrebbe lanciato una luce tetra su tutto il sistema e poi si è alimentata l’idea di un Paese che non sapeva da che parte andare a parare prolungando una situazione di incertezza, che dura fino a oggi, per dodici mesi.
Oggi si può vendere sul mercato la possibilità che l’Italia abbia un nuovo rapporto con l’Europa non viziato da promesse non mantenute e giochi delle tre carte e si può vendere la possibilità di un’azione più energica sulle questioni scottanti e cioè le banche e un apparato burocratico pieno di sprechi inutili e inefficiente. Questo avviene in una fase in cui è ancora possibile per le imprese credibili prendere prestiti a tassi schiantati per finanziare progetti di crescita.
Se questa occasione verrà sprecata o meno non si può dire; si può dire però che il mercato è, nella peggiore delle ipotesi, neutrale. Il che è davvero eloquente considerato che abbiamo appena avuto una “crisi di governo”.