Ci era venuto il forte dubbio che una vittoria del No al referendum non sarebbe stata la fine del mondo per le borse; ci chiedevamo, infatti, cosa mai sarebbe potuto cambiare per i “mercati” con una legge che non aggiungeva un euro di Pil e con un passaggio elettorale che prevedeva spesa a pioggia senza senso per comprare il consenso elettorale. Un messaggio davvero devastante per l’Europa che associava l’idea che la flessibilità concessa all’Italia coincideva con una spesa corrente fatta un po’ a caso e con evidenti secondi fini elettorali; una spesa che non serviva per investimenti o infrastrutture e per assumere disoccupati o per fare in modo che qualcuno smettesse di fare lavori improduttivi per lavori utili. Ci chiedevamo poi cosa sarebbe successo se questo status quo, finte riforme, interventi falliti, come sulle banche, rifiuto di toccare i nodi veri degli sprechi e spesa pubblica inefficiente, fosse continuato per due anni; uno scenario assolutamente probabile con la possibilità di prendere il premio finale nel 2018 di un controllo dello Stato, libero da qualsiasi opposizione.
Tutto questo avveniva mentre cambiamenti incredibili ci sorprendono continuamente per velocità e importanza: vittoria del leave al referendum sulla Brexit, elezione di Trump e tra pochi mesi elezioni in Francia, Olanda e Germania. Cosa importa al mercato di quello che succederà dal 2018 se il futuro dell’Europa e soprattutto dell’Italia si gioca ora? Il +4,15% di ieri con una borsa di Milano tonica come mai negli ultimi dodici mesi ci obbliga oggi a dare un’interpretazione. Sì certo, c’è la Bce, come c’è stata negli ultimi dodici mesi quando il mercato si sfasciava e c’è l’euro e l’Europa come c’erano nell’ultimo anno quando ci impedivano di salvare le banche con i nostri soldi condannando l’Italia a un altro giro di quasi-austerity via sfiducia nel sistema bancario; un’infrastruttura ovviamente decisiva per tutti, imprese e famiglie, e per la loro fiducia.
Allora cosa sta succedendo? Succede, secondo noi, questo: la prima cosa che sta succedendo è un giudizio impietoso sul governo che, forse, ci siamo lasciati alle spalle. Un governo che non ha risolto un singolo problema strutturale, banche incluse, che non ha tagliato i costi inutili e che ha giocato tutta la flessibilità ottenuta dall’Europa sulla roulette di una campagna elettorale lunga tre anni, gli ultimi 12 e i prossimi 24 mesi. Tra l’altro ha puntato nero ed è uscito rosso; con i nostri soldi. Una prosecuzione di altri due anni di questa cosa era l’incubo vero dei mercati, che non leggevano i giornali scritti in italiano e nemmeno quelli internazionali che negli ultimi sei mesi hanno sbagliato ogni possibile previsione e lettura.
La seconda cosa che è successa è che oggi c’è una possibilità, ovviamente teorica e in potenza, di cambiare per il verso giusto. Una possibilità che appare attraente in modo irresistibile sui mercati dato che il listino di Milano è schiantato proprio a causa di questo referendum. La vittoria del No d’altronde non era dipinta come l’apocalisse economica? E se non avesse vinto il Sì non era la prova della situazione disperata italiana? Se viene meno un governo che non funziona sicuramente si apre la possibilità che ne arrivi uno che funziona. Con una borsa sfasciata che sconta già il peggio.
La terza cosa che è successa è questa. Il referendum non era tecnicamente sull’euro, ma è stato sostanzialmente l’espressione di un Paese devastato da questa Europa e che, in questa Europa, non può avere una speranza di rinascita. L’austerity è per noi e non per la Francia, tutti salvano le loro banche tranne noi per un ritardo di cinque minuti anche se tutti hanno violato le regole bellamente, Germania in testa. La Francia bombarda la Libia per fare male all’Italia, ecc. Il no a Renzi è il no a questo nella misura in cui accontenta l’Europa consegnandogli un Paese finalmente controllabile e telecomandato, con la nuova riforma, e nella misura in cui si permette di scialacquare sfasciando i bilanci comunque forte di una rete di sicurezza e di controparti europee senza la quali bisognerebbe invece pensare solo a sistemare i problemi veri. Altro che riforma della Costituzione. Se il Paese storicamente più europeista del globo terracqueo è in questo stato, e vota no al 60% dopo mesi di regali pre-elettorali, allora la situazione è molto grave. Soprattutto se tra tre mesi parte una serie di tornate elettorali in Europa da cui veramente può partire lo sfascio dell’euro.
E allora basta, almeno per sei mesi, con l’austerity in Italia, basta con le fregature e magari, persino, basta con la condanna del suo sistema bancario che magari viene finalmente e magicamente salvato con l’unica soluzione davvero possibile e cioè con l’intervento statale; esattamente come in Inghilterra, Germania, Francia, Olanda e Spagna. Basta perché se questa è la situazione in Italia, con un altro giro di austerity inflitto a un Paese già palesemente maltrattato, allora c’è la prova finale, davanti a tutti, che l’Europa è una nemica, per tutti; tra dodici mesi l’Europa non esiste più dopo che, per esempio, la Le Pen ha vinto con l’80% cavalcando la protesta anti-Europa.
Praticamente in un colpo vengono eliminati tutti i problemi che hanno affossato il listino negli ultimi dodici mesi: austerity, banche e pessimo governo di pessime riforme e spesa pubblica. Tutto questo grazie al No. Poi ci sarebbe da fare le riforme giuste per vendere sui mercati la storia giusta. Ma questa è un’altra storia per un altro articolo. Diciamo fin d’ora che il metodo dell’uomo solo al comando o del deus ex machina non sembra aver funzionato negli ultimi 25 anni. Ma questa appunto è un’altra storia che magari si può persino pensare di scrivere oggi. Con il Sì a quella riforma, ovviamente, era certo che non lo sarebbe stato.