Le prime settimane dell’anno non hanno lasciato molto di quello a cui si era deciso di credere nel 2015 quando la scommessa sulla ripresa dell’Italia aveva fatto chiudere il listino di Milano al primo posto in Europa. La tesi era irresistibile: l’Italia è il grande ritardatario sull’orologio della ripresa globale ed europea, è arrivata al minimo e tutto cospira per la “ripresa” con il Quantitative easing della Bce, il petrolio basso e il dollaro debole e un Primo ministro giovane, che “piace alla gente che piace”, che farà le riforme giuste per rilanciare l’Italia, la sua economia e la competitività del sistema. Di tutto questo è rimasto poco o niente con il mercato italiano crollato, più degli altri, sotto il peso di una congiuntura economico-finanziaria e geopolitica complicata e sotto il peso di un andamento economico particolarmente deludente e delle fragilità, per esempio quelle bancarie, rimaste irrisolte e fonte di vulnerabilità anche per colpe recenti.



È in questo contesto che il Financial Times ha deciso di dedicare un articolone a pagina 2 al Presidente del consiglio italiano e alle sue “fortune”. Più che fortune si potrebbe dire “fortuna”, perché il titolo dell’articolo è già un programma (e un giudizio): “La fortuna di Renzi si esaurisce mentre crescono i problemi all’interno e all’esterno”.



L’articolo non risparmia niente a Renzi le cui slides “sembrano suggerire che gli italiani abbiano molte ragioni per gioire”, ma che “nascondono attentamente” la realtà: “La fortuna sembra avergli girato le spalle”. All’FT basta citare la crescita del quarto trimestre per sostenere che i dati indicano come la ripresa non solo non dovrebbe accelerare, ma che potrebbe anche rallentare. L’elenco dei problemi prosegue con le preoccupazioni sul sistema bancario italiano, i problemi posti dal flusso dei migranti e il peggioramento delle relazioni con un Paese, l’Egitto, su cui il governo aveva puntato molto. Sono inevitabili a questo punto le considerazioni sull’imminente tornata elettorale: se l’andamento economico dovesse continuare a deludere, i risultati delle amministrative potrebbero impedire a Renzi la vittoria nel referendum previsto in autunno.



L’analisi spietata continua: “Renzi non ammetterebbe mai di essere sotto assedio, ma i suoi istinti di sopravvivenza sono già visibili”. Le polemiche con l’Unione europea sono lette in questo senso come un tentativo di recuperare terreno dentro i confini cavalcando il populismo per rafforzare il consenso; una strategia che a questo punto dovrebbe continuare se non rafforzarsi. Il dibattito intorno alle richieste di maggiore flessibilità in sede europea potrebbe salire di livello e sfociare in uno scontro aperto in primavera; la distanza tra le richieste italiane e le accuse europee di aver già fatto tutte le concessioni possibili non sembra colmabile. La bocciatura è insomma totale. Il successo maggiore del giovane leader carismatico che prometteva di rifare l’Italia è stato “la stabilità politica e la credibilità internazionale per un Paese abituato a un governo debole”, ma in vista di difficoltà crescenti Renzi “ricorda ora un politico molto più tradizionale e difensivo a rischio sia di sconfitta interna che di isolamento internazionale”.

Il clima di ottimismo che si è respirato sui mercati nel 2015, complice la liquidità abbondantissima, ha trascinato anche l’Italia che dopo quasi sette anni di crisi ininterrotta non è riuscita a produrre neanche un accenno di ripresa vera limitandosi, sostanzialmente, a smettere di peggiorare. Un risultato di cui c’è pochissimo da rallegrarsi considerato il punto di partenza e il contesto eccezionalmente positivo. Limitarsi a gestire l’ordinario non può bastare a un Paese con i dati economico-finanziari dell’Italia, soprattutto se il contesto internazionale, invece di migliorare, peggiora.

Gli investitori che avevano fatto finta di crederci nel 2015, oggi non possono più nascondere la polvere sotto il tappeto della liquidità delle banche centrali, del dollaro debole o dell’onda lunga della ripresa americana. Di certo non riescono a scambiare i tempistivissimi e celerissimi blitz su Bcc e popolari come riforme di sistema. Vanno bene per un articolone contro i mali del capitalismo mediterraneo italiano (fatti dal Paese di Northern Rock e Royal Bank of Scotland), ma non bastano per cancellare i dati di un’economia e di un sistema Paese che, seppure con tantissime scusanti, non sembra avere ancora uno straccio di bussola per uscire dalla crisi e per rilanciare le sue imprese.