In una borsa abbastanza fiacca Mediaset ieri spiccava con una performance particolarmente positiva (+3,39% in chiusura) e con il titolo che nelle prime ore di contrattazioni metteva a segno un rialzo di quasi il 7%. L’origine di questo exploit è facilmente rintracciabile nei rumours, rilanciati da Il Sole 24 Ore, di un interesse di Vivendi per Mediaset Premium. In particolare, si ipotizzava che Vivendi volesse prendere una quota di Mediaset Premium, probabilmente di maggioranza, in cambio di soldi e azioni della stessa Vivendi.
I rumours sui possibili partner per la pay tv di Cologno Monzese durano quasi ininterrotti da due anni, precisamente da quando Mediaset si è aggiudicata l’esclusiva dei diritti di Champions League per quasi 700 milioni di euro. Immediatamente sono cominciate a circolare ipotesi di partnership più o meno fantasiose che avevano come unico elemento in comune la convinzione che Mediaset molto difficilmente avrebbe potuto sfidare la posizione consolidata di Sky; soprattutto se la sfida richiede investimenti per centinaia di milioni e soprattutto se il contesto è quello di un Paese con una performance economica non particolarmente esaltante.
La performance del titolo, seppur positiva in un mercato in calo, sembra però segnalare che il mercato non sia del tutto “convinto” dalle ultime ipotesi emerse e che ci sia un certo scetticismo; se si fosse creduto all’ipotesi avremmo probabilmente assistito a un rialzo più marcato. È chiaro, infatti, che Mediaset ha bisogno di un partner per poter giocare la partita nel segmento premium e dei diritti live; è chiaro che Vivendi non è un operatore europeo qualsiasi dato che è l’azionista di riferimento di Telecom Italia. Ci sono però altri elementi importanti da considerare.
Il primo è che Sky non sembra soffrire particolarmente la perdita dei diritti live sulla Champions League; nell’ultimo trimestre ha incrementato i clienti di 12 mila unità con i ricavi scesi del 3% nell’ultimo semestre rispetto a quello dell’anno prima. La sfida lanciata da Mediaset a Sky è sicuramente molto costosa e per alcuni analisti in perdita, ma non si assiste a un fenomeno significativo di travaso da Sky a Mediaset. Ci si deve quindi chiedere se in Italia esista lo spazio per due player nel segmento premium che competono a suon di rilanci, con i consumatori che per avere tutto devono pagare sia il primo che il secondo; senza considerare il canone Rai in bolletta.
In questo scenario non è facile ipotizzare che Vivendi decida di entrare in un mercato difficile e costoso senza avere alcuna base nel settore media. In altri mercati, quello francese, si assiste a un consolidamento che invece suggerirebbe come più probabile un accordo tra Sky e Mediaset nel mercato premium che eviterebbe sanguinosissime battaglie competitive dall’esito incerto. In questo senso un accordo non è stato probabilmente trovato più per diversità di vedute sul prezzo che industriali e strategiche.
Questo scenario si presta benissimo a ipotesi e rumours perché l’attuale equilibrio sul mercato televisivo italiano è instabile e serve un nuovo assetto. Nel nuovo assetto rientrano anche i centinaia di milioni di euro di ricavi in più (300 all’anno) che la Rai si ritroverà con l’inserimento del canone nella bolletta elettrica; sia Urbano Cairo che Gina Nieri, membro del cda di Mediaset, hanno evidenziato negli ultimi giorni gli effettivi distorsivi sul mercato pubblicitario italiano. La richiesta, nemmeno troppo velata, è una riduzione dei ricavi pubblicitari della Rai. Fino a che non si troverà una soluzione alla competizione tra Mediaset Premium e Sky, che oggi non sembra sostenibile nel medio-lungo periodo, e una definizione del ruolo della Rai che appare sempre più spropositato in rapporto al “servizio pubblico”, continueranno rumours e ipotesi che però non possono non fare i conti con le ragioni economiche e industriali.
Allo stesso modo continueranno rumours e ipotesi su Telecom Italia, Vivendi e dintorni. Le ipotesi di un ruolo dello Stato, diretto o indiretto, nella rete telecom si susseguono ormai da così tanti mesi e anni da sembrare ormai surreali. Esiste però il problema di un mercato che non è in grado di remunerare adeguatamente gli investimenti privati in una rete che raggiunga la maggioranza del territorio e dei clienti e quello di garantire un presidio pubblico-statale su una infrastruttura evidentemente strategica. I rumours, anche in questo caso, continueranno fino alla definizione di un equilibrio sostenibile con la differenza che in questo caso, rispetto al mercato televisivo, non sembra che tutti gli attori abbiano chiari obiettivi e strumenti, soprattutto da parte “statale”.