L’affaire “Telecom Italia” è ormai diventato una saga a puntate da seguire con cadenza settimanale. L’ultima “puntata” è arrivata ieri mattina, quando alcune dichiarazioni del presidente Recchi hanno fatto capolino in una borsa impegnata a festeggiare l’ultimo round di iniezioni di liquidità della Banca centrale europea. “L’eventuale fusione tra Telecom Italia e Orange è una fantasia mediatica”, ha detto il presidente del gruppo italiano; “parlare continuamente, come fa l’ad di Orange, di un’operazione che è solo nella sua testa, la considero una fantasia di cui è bene ci sia un’assunzione di responsabilità, per gli effetti che può creare su media e mercati”, ha aggiunto. E infine: “Non credo ci sia la possibilità di creare valore in seguito a fusioni transfrontaliere”. La fantasia mediatica è un termine forse riduttivo, dato che in questa supposta allucinazione collettiva sono caduti anche il mercato e gli investitori, come sembrerebbe suggerire abbastanza inequivocabilmente la performance del titolo delle ultime settimane.
In realtà bollare, come fantasia, mediatica un’ipotesi formulata e suggerita da uno dei due attori coinvolti, l’ex France Telecom, rischia di generare un enorme fraintendimento. Le fantasie mediatiche, o i rumour, di solito hanno per protagonisti fonti anonime o speculazioni, più o meno azzeccate e interessate, di commentatori, giornalisti o analisti. Scrivere su un pezzo di carta, di un giornale o di un report, che Orange e Telecom Italia potrebbero dar vita alla fusione perfetta è una fantasia; far dire a una fonte anonima che c’è un dossier su cui alcuni advisor stanno lavorando è un concetto di nuovo simile alla “fantasia”. I desideri espressi ad alta voce e in pubblico da uno dei maggiori player europei non sono una fantasia, ma una notizia. La notizia in questo caso è che Orange, già France Telecom, vuole essere soggetto consolidante del settore telecom europeo e che considera Telecom Italia un candidato o il candidato da consolidare.
Il fatto che certe intenzioni vengano espresse ad alta voce può essere forse inopportuno, ma sicuramente molto usuale e molto funzionale; anche Marchionne parla ad alta voce di General Motors. Dichiarare i propri intenti è funzionale all’ottenimento del proprio obiettivo perché una eventuale “fusione”, o meglio acquisto, deve passare da un’assemblea in cui servono fondi e azionisti convinti dai concambi e dalle sinergie. L’ad di Orange non parla, evidentemente, a Telecom Italia o al suo management, ma ai suoi azionisti che a un certo punto, se tutto va secondo i piani, si troveranno in assemblea a votare a favore o contro una proposta di fusione con un concambio attaccato.
Un’operazione di questo tipo non è un “blitz” che si annuncia durante un weekend mentre tutti sono al mare, ma è la tappa finale di un percorso lungo in cui si deve preparare il terreno. Oggi l’interlocutore principale di Orange non è Telecom Italia, ma Vivendi, che di Telecom Italia è l’azionista principale e di riferimento. Il management di Telecom Italia non è “espressione” dell’azionariato attuale ed è stato, tra l’altro, coinvolto in recentissimi rumour di avvicendamento. È del tutto ragionevole ipotizzare che Vivendi possa e voglia scegliere il management che crede più capace di guidare Telecom Italia.
L’ultimo punto riguarda la possibilità di “creare valore con fusione transfrontaliere”. È vero che rispetto ad altri settori industriali le sinergie, industriali che si possono creare nel settore telecom fondendo società di Paesi diversi sono limitate, e infatti operatori mono-Paese competono ancora efficacemente contro operatori continentali o globali (per esempio, Vodafone). C’è un’altra prospettiva però: essere più grandi permette di giocare una partita globale avendo la forza per poter investire in nuovi mercati e potendosi svincolare dalla performance di un particolare mercato. Essere più grandi mette al riparo da qualsiasi rischio di acquisizione e assicura un posto fisso, indipendentemente dalle fasi di mercato, nello scenario telecom. Orange e il suo azionista, il Governo francese, si preoccupano di diventare un player almeno continentale; una condizione che tra l’altro assicura tanti stipendi “direzionali” a tre cifre e tanti posti di lavoro. Il Governo italiano non ha questa preoccupazione e nemmeno quella di mettere almeno una mano sulla rete nazionale. La rete è un bene talmente importante che richiederebbe attenzioni particolari anche alle fantasie mediatiche, figuriamoci se queste fantasie mediatiche hanno la forma di un’azionista che da ieri è lo 0,1% sotto la soglia d’Opa…