Ieri il London Stock Exchange e Deutsche Börse hanno annunciato i termini di una fusione che creerebbe il campione europeo indiscusso del trading. La nuova società avrebbe una capitalizzazione di circa 25 miliardi di euro, avrebbe sede a Londra e sarebbe guidata dall’attuale amministratore delegato della società tedesca. L’annuncio non è una novità assoluta sia perché le due società avevano dichiarato tre settimane fa di essere in trattativa, sia perché i tentativi di fusione di Deutsche Börse sono datati. Quattro anni fa l’Antitrust europeo aveva bloccato la fusione tra il New York Stock Exchange e la società tedesca che a sua volta è al terzo tentativo, dal 2000, di fusione con la borsa di Londra.

Il tema è ovviamente particolarmente sensibile dal punto di vista politico e le “borse” fanno sicuramente parte di un settore più uguale degli altri; i fatti di Lehman con le chiusure dei mercati al primo posto su giornali e telegiornali, le grandi ondate speculative viste, per esempio, a queste latitudini condite da interventi decisivi di banche centrali e dintorni consegnano uno scenario in cui “la borsa” è molto più di un posto che interessa qualche centinaia di addetti ai lavori; miliardi di dollari vengono depositati come collaterale di operazioni in derivati presso le borse. Le performance o i movimenti di borsa fanno cadere i governi e diventano la prova dei successi o degli insuccessi della politica economica.

La borsa italiana, per chi non lo sapesse, è posseduta dal gruppo London Stock Exchange. Le azioni del nuovo gruppo che gli azionisti italiani di Borsa italiana si sono ritrovati dopo la fusione del 2007 sono state vendute per fare cassa in uno dei moltissimi esempi di lungimiranza che il nostro sistema Paese sta consegnando ai posteri; gli azionisti italiani di Borsa italiana in particolare si erano ritrovati, dopo la fusione, con il 28% della nuova società (Unicredit e Intesa con il 7% ciascuno). Il prezzo delle azioni del gruppo inglese per la cronaca negli ultimi tre anni è triplicato ed è circa il 50% sopra i massimi del 2007. Qualsiasi salto dimensionale che la borsa di Londra dovesse compiere nei prossimi mesi farebbe diminuire l’importanza relativa della già minuscola borsa italiana che sarebbe una parte ancora più piccola del nuovo gruppo. Non è questo il momento per ricordare che l’industria finanziaria paga stipendi ed è strategica e che negli ultimi anni tante società “italiane” hanno abbandonato la borsa di Milano oppure, per esempio Prada, hanno deciso di non entrarci nemmeno.

Parliamo di “qualsiasi salto dimensionale” non perché dubitiamo della buona volontà di convolare a nozze delle due società, ma perché il mercato si attende una controfferta sulla borsa di Londra di “ICE” che controlla e che sarebbe il New York Stock Exchange. Un’eventualità talmente improbabile che nell’accordo annunciato ieri non sono previste clausole che impongano alla società inglese oneri di alcuni tipo se dovesse cambiare idea. L’operazione annunciata ieri verrà esaminata da tre antitrust: Stati Uniti, Europa e Russia. Ma questa non è una fusione come tutte le altre per almeno un altro motivo. Ci sarebbe infatti il piccolo dettaglio della “Brexit”, l’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Come la mettiamo infatti con l’eventualità che la borsa di Londra si trovi dall’oggi al domani non più europea ma “extracomunitaria” come un Paese del Maghreb?

Le due società hanno precisato che la fusione avviene sul presupposto che “le attuali regole e strutture politiche rimangano in essere”. L’amministratore delegato di Deutsche Börse ha dichiarato che la fusione non cambierebbe se la Gran Bretagna dovesse uscire dall’Europa, ma le due società hanno creato un comitato per esaminare le “ramificazioni” della Brexit e hanno aggiunto che il risultato del referendum potrebbe sicuramente influenzare il volume e la natura degli affari della società fusa anche se, appunto, il risultato del referendum non è una condizione della fusione.

L’industria finanziaria è il cuore dell’economia di Londra e dell’Inghilterra e ci si dovrebbe chiedere perché si dia il “via libera” a una fusione che lascia un amministratore delegato tedesco sul ponte di comando. Non solo. Le “clearing house”, ora separate, controllate dai due gruppi su cui “girano” i derivati (che li trovano la camera di compensazione e garanzia) che a loro volta fanno girare la finanza sono il cuore della finanza stessa. La nuova clearing house post-fusione sarà basata a Londra o a Francoforte? Se ci fosse una Brexit e Londra diventasse extracomunitaria per l’Europa dovrebbe essere a Francoforte per chiare esigenze regolamentari. Perché Londra cede il cuore della sua finanza?

L’opinione di scuola è che tutta l’operazione sia tesa a mettere al riparo la finanza della City in caso di Brexit. La sede del nuovo gruppo è a Londra, ma la clearing house è in Germania perfettamente funzionante sotto il possibile nuovo regime politico. Business as usual dopo il ponte finanziario gettato dalla City, via fusione delle borse, a un’Europa separata dalla politica. E poi c’è qualcuno che ancora crede al “libero mercato”, agli investimenti esteri che fanno piacere sempre e comunque e che le “bandiere” delle società, e soprattutto di alcune, siano solo un dettaglio cromatico.