Ieri i principali quotidiani economici internazionali e alcuni di quelli specializzati hanno pubblicato una singolare notizia sul produttore di auto francese Psa. La notizia era più o meno questa: il governo francese ha deciso di votare contro l’attribuzione all’attuale amministratore delegato di Psa di un compenso di 5,24 milioni di euro perché giudicato eccessivo. Il fatto, in realtà, contiene diverse notizie, alcune delle quali vecchie e probabilmente già note sul mercato, ma dà comunque l’opportunità di fare un ripasso veloce su alcuni fatti altrimenti relegati in secondo o terzo piano.
Il primo fatto è che il governo francese è, oggi, il principale azionista di Psa; non si tratta di un’impresa che considereremmo necessariamente strategica in un insieme che include banche, assicurazioni, telecomunicazioni o risorse energetiche. L’unica “strategicità” che si può attribuire a Psa è quella di essere un grande datore di lavoro locale. Infatti, il governo francese si ritrova con una partecipazione del 14% dopo un pacchetto di salvataggio da 3 miliardi di euro varato due anni fa, che ha visto anche un accordo con i sindacati su tagli e congelamento degli stipendi.
In teoria non ci sarebbe nulla da eccepire, ma esistono altre alternative per salvare le imprese; per esempio, ci sono quelle che passano per il cambiamento di sede legale, fiscale e di mercato di quotazione con annessi chiusure di impianti e casse integrazioni pagate dai contribuenti. Dal punto di vista del “sistema Paese” questa seconda opzione implica sicuramente “un di meno”. Ci sarebbe poi il problema di una competizione falsata, ma questo è un altro capitolo. A proposito di Stato e Psa, anche l’altro produttore di auto francese, Renault, ha come azionista principale il governo con una quota del 20%.
Tornando per ora a Psa, il problema del compenso di Tavares, l’amministratore delegato, non è tanto la pochezza dei risultati o il mancato raggiungimento degli obiettivi, dato che il gruppo del 2015 ha registrato 900 milioni di euro di utile pretasse contro la perdita di 700 milioni del 2014. Il problema, come ha ricordato il ministro delle Finanze Sapin, è che “siamo in una fase in cui ogni sforzo è necessario e deve essere condiviso da tutti”. In pratica siccome lo Stato ci ha messo i soldi, diversi miliardi, e la faccia, con i sindacati, per salvare “il campione nazionale”, adesso la società deve ragionare da e per il sistema Paese, pazienza se per il “mercato” quel compenso va benissimo. Per essere ancora più chiaro, Sapin ha dichiarato che “se fossimo in una società dove lo Stato ha il 30 o il 40 o il 50% sarebbe stato bloccato”.
Mentre in Europa, dove c’è l’euro e la Commissione europea, oltre che dall’altra parte del confine ci sono le macchine di Stato e gli amministratori delegati devono giocare di sponda, qua diamo il “liberi tutti” su tutto al “mercato”, anche quando le società sono strategiche per davvero con le banche in mano ai private equity, caso unico in un Europa delle banche nazionalizzate (Inghilterra inclusa), e la telecom in mano a un imprenditore definito come un “raider” su alcuni giornali economici internazionali.
Non si tratta di promuovere le macchine di Stato italiane, ma almeno si potrebbe notare che in Paesi sviluppati ed europei c’è ampio spazio per considerazioni “di sistema” nella promozione della competitività nazionale e nella salvaguardia degli asset strategici; è il caso dell’Inghilterra che nazionalizza le banche e del suo governo che indirizza i destini di Bp avvertendo la city che deve rimanere “nazionale”, è il caso della Francia, appunto, della Germania con il suo sistema bancario, ecc. Se per incapacità, per debolezza o per altri interessi non riusciamo a fare lo stesso non possiamo dare la colpa “all’Europa” o invocare le superiori ragioni di un mercato che negli ultimi anni ha dimostrato di convivere benissimo con lo Stato e le sue aziende più o meno statali; tanto più se abbondano gli esempi in cui si possono conciliare tutte le esigenze, incluse quelle nazionali, senza dover espropriare società private e toglierle dal listino.