L’ad di Orange, Stéphane Richard, si è espresso in questi termini ieri a margine di un incontro al Cairo: “Se un giorno Bolloré mi dicesse: la cosa migliore sarebbe fare un accordo tra di noi e fare in modo che Orange acquisti Telecom Italia, ci guarderemmo”. L’ad ha poi aggiunto: “Non penso che sia nelle sue intenzioni”, precisando che incontra Bollorè in modo regolare. Le dichiarazioni raccolte da Reuters segnano una nuova tappa nel percorso di rumour e “corporate action” che circonda Telecom Italia da diversi anni e con maggiore forza da quando Vivendi ha fatto capolino nell’azionariato dell’ex monopolista pubblico, arrivando poi a detenere una partecipazione appena sotto al livello d’Opa. Negli ultimi mesi si è sentito e letto moltissimo sul futuro e sul presente di Telecom Italia e si è alzato un polverone fatto di notizie e fatti, rumour, leggende con un fondo di verità e leggende metropolitane e basta, al punto che non sembra esserci più nessuna possibile lettura “oggettiva” degli eventi. In realtà, crediamo che in questo caso i fatti siano abbastanza chiari per avere una chiave di lettura accettabile.
Sappiamo che Vivendi, che è francese, è il nuovo azionista di controllo di Telecom Italia con oltre il 23%, sappiamo che questa quota le consente una supremazia “strategica” e una presa sulla società che va oltre la mera percentuale, dato che chiunque volesse contendere il controllo potrebbe al massimo arrivare a una scontro di deleghe incertissimo e soprattutto ritardatario (Vivendi ha già preso posizione e stretto accordi da molti mesi), a meno di lanciare un’Opa; quest’ultima ipotesi ha oggi una probabilità prossima allo zero.
Sappiamo che in teoria Vivendi, alla vigilia dell’entrata in Telecom Italia, non aveva il settore tlc tra i propri investimenti strategici, e infatti aveva venduto le proprie partecipazioni nel settore per diventare un “content player” puro. Su questo ultimo punto sottolineiamo che anche il Financial Times, notando l’apparente contraddizione, in un articolo di ottobre ipotizzava che l’investimento di Vivendi fosse in realtà una scommessa opportunistica sul consolidamento europeo: Telecom Italia, quindi, non come partecipazione strategica, ma come investimento finanziario per ritorni finanziari e industriali di una fusione. Ha senso? Si perché non si può vendere sul mercato il 25% di Telecom Italia senza affossare il titolo, ma si può vendere il 10% riveniente da un’operazione di fusione.
A proposito di Orange sappiamo che già a giugno del 2015 Gervais Pellissier, vice amministratore delegato, dichiarava davanti a un gruppo di giornalisti: “Nei prossimi cinque anni ci sarà un consolidamento tra Paesi o intraeuropeo” e “i soggetti che operano su un singolo mercato o quasi su un singolo mercato potrebbero essere comprati da chi è più grande”. Tra un piccolo elenco di società che comprendeva Telecom Italia, Kpn e Belgacom Pellissier aggiungeva che “sicuramente uno di questi potrebbe essere un obiettivo”. Da ieri sappiamo che se Vivendi “vendesse”, Orange starebbe a sentire in una conversazione facilitata dalla comune lingua d’oltralpe. Usiamo il termine vendere e comprare, quello usato dal management di Orange tra l’altro, anche se siamo sicuri che se questa operazione si dovesse mai realizzare ci sarebbe sicuramente qualcuno che oserebbe usare la parola “fusione”.
Se questi sono i fatti ipotizzare con tempi congrui una “fusione” tra Telecom Italia e Orange non è neanche un po’ fanta-finanza. Vorremmo però chiarire per tempo due cose. La prima è che Orange è il nuovo nome di France Telecom e che il governo francese è di gran lunga l’azionista di maggioranza relativa con una partecipazione superiore al 20%. Il nostro primo ministro richiesto di una dichiarazione su Telecom Italia a dicembre diceva: “Non rispondo a domande su aziende quotate. Dico solo che in passato il governo, nel 1997, ha scelto la strada della privatizzazione e quindi si è fatta una scelta”. Anche Orange è privatizzata, però è chiaramente del governo francese che tra un po’ avrà anche Telecom Italia. A parti inverse sarebbe stato inimmaginabile e basterebbe rileggere cosa successe a Enel quando provò a comprare Suez. Lo Stato italiano non potrebbe, ma quello francese che non è messo molto meglio del nostro sì.
La seconda cosa è che la vicenda Vivendi dura almeno da dodici mesi e che c’era tutto il tempo possibile e immaginabile per mettere al riparo la rete, l’asset strategico per il Paese, utilizzando una delle mille ipotesi finite sui giornali, Metroweb, Enel, ecc., e mai arrivate oltre la dichiarazione d’intenti, il tweet (“La Banda Ultra Larga è obiettivo strategico” “twittava” Renzi a maggio) o la sparata. Il blitz sulle popolari, che ha cancellato società con 100 anni di storia, è maturato in qualche settimana. Sinceramente l’unica parola che ci viene in mente per descrivere questa storia e questo epilogo è surreale.
Surreale la probabilissima conclusione della “privatizzata” Telecom Italia in un Paese che “rispetta il libero mercato” finita in pancia a una società controllata dal governo francese che – giustamente, come quello inglese, americano, ecc. – quando si tratta di sistema Paese e asset strategici il libero mercato non sa neanche cosa sia. Surreale lo svolgersi della storia in cui tutti fanno finta di non accorgersi di quello che sta succedendo non si capisce se per malafede, noncuranza o “solamente” incapacità totale.