Il rialzo di Rcs il giorno dopo l’annuncio dell’opa per cassa di Bonomi, Mediobanca & Co non è di quelli che indicano un particolare ottimismo sulla possibilità di una contro opa che migliori le condizioni offerte. Si deve tenere presente, tra l’altro, che il prezzo offerto da Bonomi implica un premio di quasi il 70% rispetto al valore del titolo pre-offerta di Cairo; questo per una società con i bilanci particolarmente tirati e che era costretta a misurarsi con ipotesi di aumento di capitale assolutamente realistiche.
Oggi ci interroghiamo sulla possibilità di una contro opa o di un rilancio di Cairo ma prima dell’annuncio di lunedì non erano in molti a scommettere su un’offerta migliore. Questo “pessimismo” era abbastanza fondato per molte ragioni che vale la pena ripercorrere facendo un passo indietro.
Rcs intanto stentava a rimettere in sesto i conti nonostante un aumento di capitale. Il problema era ed è doppio o triplo: si doveva ritrovare un modello di gestione economicamente sostenibile nel medio lungo termine, bisognava farlo in fretta con un aumento di capitale incombente e forse comunque difficilmente evitabile. Tutto questo doveva avvenire in un contesto economico italiano complicato da cui sicuramente non è possibile attendersi un aiuto. In questo scenario l’offerta di Cairo si presentava come la tessera perfetta per ricomporre il puzzle di Rcs.
Cairo offriva una provata capacità nel settore, e la sua credibilità, ad azionisti abituati ad anni di delusioni economiche e industriali. Offriva la sicurezza di sinergie concretissime con un gruppo che fa lo stesso mestiere. Da un punto di vista di mercato e strettamente finanziario la fusione si poteva presentare agli investitori con un pedigree praticamente perfetto. Per questo chi aveva altre idee non poteva permettersi di temporeggiare. La storia di queste operazioni, a tutte le latitudini, racconta che l’azionarito della società coinvolta cambia a seconda dell’offerta proposta. Chi non è contento di Cairo e della sua offerta vende le azioni e chi vuole scommettere sulle prospettive di quella fusione le compra; in questo modo l’azionariato si trasforma in senso favorevole a chi si è fatto avanti lanciando la sua proposta e quindi alla fine ci si trova con un azionariato strutturalmente più disposto ad aderire all’offerta.
Dicevamo del pessimismo del mercato sulle possibilità di una contro offerta. Non si vedevano all’orizzonte altri azionisti industriali dotati della stessa capacità di fare sinergie. Gli esteri si erano tirati indietro e comunque un “italiano” con un’attività italiana nel settore ha sicuramente più sinergie da offrire. Solo un’offerta in cassa poteva battere quella “industriale” di Cairo ma le condizioni economico finanziarie del Corriere non presentavano facili guadagni finanziari.
Per le menti semplici degli investitori un’offerta per cassa è molto più affascinante di qualsiasi promessa di sinergie soprattutto in un settore complicato di un Paese complicato. La parata di consigli a “consegnare” a Bonomi e gli avvisi a considerare la partita finanziaria finita degli analisti sono quasi una reazione automatica. Tutti gli altri devono continuare a chiedersi cosa abbia visto un operatore “finanziario” che invece un operatore industriale come Cairo, e nessun altro, non ha visto. Perché Bonomi offre 0,70 per cassa e Cairo no? Chi dei due ha torto o ragione?
In una logica meramente finanziaria di investimento e rendimento queste domande non sembrano avere una risposta; ci deve essere un’altra logica o un altro pezzo di storia che spiegherà meglio quello che sta succedendo. La storia borsistica si avvia alla conclusione con l’opa per cassa; quella di Rcs, il più blasonato quotidiano italiano, neanche per sbaglio. A meno che ci sia qualcuno che pensi che un private equity possa essere l’azionista di riferimento di lungo periodo di un giornale.