Ieri la Borsa italiana ha chiuso malamente con un calo del 3,6%; la performance è arrivata al termine dell’ennesima giornata orribile delle banche italiane con cali in media del 5-6%. Ripetere l’esercizio e la spiegazione solita sullo stato di salute della banche italiane e sulla preoccupazione dei mercati per il loro futuro è con ogni probabilità fuori luogo dopo la giornata di ieri. Aggiungiamo ai tentativi di spiegazione un paio di elementi. Il primo è che la Borsa italiana, seppure con un calo sopra la media, è stata accompagnata nel calo dal resto delle borse europee; la seconda è che a soffrire è stato tutto il settore bancario europeo. Il -6,5% della “solita” Mps o il -6,4% della “solita” Unicredit sono arrivati in una giornata in cui Deutsche Bank perdeva il 4,7%, Societe Generale e Credit Agricole il 4,5% e il 3%, Santander il 5,4%, ecc. Puntare sulle banche italiane per trovare una spiegazione in questo caso sembra decisamente sbagliato.
Ci sono altri movimenti che meritano attenzione. La discesa dei rendimenti del Bund è ormai irrefrenabile con il tasso del decennale arrivato ieri allo 0,02%; l’appuntamento con lo 0% sembra questione di ore o giorni. Negli ultimissimi giorni si è assistito a un brusco rafforzamento del franco contro l’euro e ancora più recentemente del dollaro. L’impressione è insomma quella di una fuga dall’Europa in generale e in particolare dagli angoli più rischiosi. Il Bund o il franco svizzero, che sono due investimenti a zero rischio per definizione, ne beneficiano; le banche invece messe all’angolo dai tassi bassi e da una crescita anemica stanno dall’altro lato.
A due settimane dal referendum sull’uscita dalla Gran Bretagna dall’Unione europea gli scommettitori stimano una probabilità di uscita del 25/30%; non è l’ipotesi favorita, ma è sicuramente una percentuale che si deve prendere sul serio. Le scosse di un’eventuale vittoria del sì si ripercuoterebbero su tutti i mercati finanziari, ma in particolari su quelli europei. Prendere le distanze dall’Europa è quasi inevitabile.
Soprattutto se in Europa si agitano ancora gli spettri della crisi greca, una situazione politica sempre più instabile, guerre per bande tra stati europei e mezzi attentati ai sistemi bancari altrui come nel caso dei limiti al possesso dei titoli di stato, ecc. In una fase in cui ci si deve tutelare dai rischi gli investitori sono obbligati a buttarsi sugli asset sicuri e sul mercato americano che infatti ieri non arrivava neanche lontanamente vicino ai cali europei. Gli scossoni di un’improbabile, ma possibile, vittoria del sì arriverebbero su un’Europa fragile da ogni punto di vista. In questo caso gli investitori non hanno grandi difficoltà a tirare le conclusioni. La calma artificiale indotta dalle politiche delle banche centrali, che tra l’altro sono sempre meno efficaci, in questi casi non tiene e si ritorna a fare le differenze a cui non si faceva più caso. Ovviamente bisogna farsi trovare con le posizione giuste prima del referendum e non dopo.
Che qualcosa non funzioni in Europa e in particolare in alcuni suoi Stati è ormai evidente; anche l’economia americana non sta brillando particolarmente e gli ultimi dati sul mercato del lavoro sono stati deludenti così come quelli sulle aspettative dell’inflazione. Le probabilità di un rialzo dei tassi settimana prossima (15 giugno) sono scese, anche se l’economia americana è comunque abbastanza in salute per ipotizzare un rialzo a luglio. Sui mercati ci sono bolle finanziarie evidenti sia sulle obbligazioni che sulle azioni; la distanza tra economia “reale” e mercati finanziari si sta allargando e non si comprende come le bolle possano rientrare in assenza di crescita vera.
Per il momento la costruzione rimane più o meno in piedi perché l’America tiene e si tira dietro, in un modo o nell’altro, anche l’Europa; lo stato di salute dell’economia cinese rimane invece un mezzo mistero che continua a preoccupare. Giornate come quelle di ieri ci ricordano che è l’Europa attuale in quanto tale a godere di pessima salute, che le cose non funzionano, se non per la Germania e pochi altri, e che anche per loro smetteranno di funzionare se non si trova una via che rilanci il continente nessuno escluso.
Ci ricordano anche che i mercati sanno benissimo dove sono i problemi quando sono costretti, per esempio dalla “Brexit”, a prenderli in considerazione.