Il motivo del crollo dei mercati di ieri è abbastanza chiaro; l’esito del referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea ha colto molti in contropiede. Il risultato a Milano è stato il peggior calo dal 1998 con un -12,5%. Nella settimana precedente il voto il mercato aveva invece incorporato, a torto, una vittoria del “remain” decidendo che le giornate di volatilità in cui l’uscita della Gran Bretagna sembrava possibile fossero solo un abbaglio.

È difficile spiegarsi come sia stato possibile che si sia alimentata una tale distanza tra aspettative e realtà, perché tra il 52 a 48 finale “ballano” più di un milione di voti. Persino i risultati di Londra, 60 a 40 per il remain, lasciano interdetti e non combaciano con una percezione in cui la vittoria degli “europeisti” doveva essere una passeggiata. La genesi e lo sviluppo di questo scollamento pauroso, tra attese ed esito finale, meritano sicuramente un’analisi approfondita anche per chi rifiuta tesi “complottistiche”.

Le riflessioni del giorno dopo fatte da chi sta sui mercati si sono ovviamente sprecate; le previsioni e i calcoli sulle conseguenze finanziarie o economiche di un evento di questo tipo sono però molto limitate. L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa eccede di molto i “mercati” o la “finanza” e ha effetti su un arco temporale che per la finanza del 2016, dopo Lehman e la crisi dei debiti sovrani, corrisponde a qualche era geologica. L’unica cosa certa è che non solo lo scenario è cambiato radicalmente, ma lo ha fatto in un modo imponderabile. Chi sta sui mercati è, più o meno, capace di prezzare il rischio e di decidere quale sia il rendimento possibile per cui valga la pena correrlo; l’incertezza invece non si può prezzare e quindi l’unica cosa che si può fare è vendere, raccogliere le idee e aspettare una fase in cui le variabili siano più chiare. L’unica cosa che si può fare è quindi cercare di capire dove sia l’incertezza maggiore.

Inevitabilmente le domande del giorno dopo si sono concentrate sugli effetti del referendum sull’economia inglese, sulle banche d’affari e in generale sulla vita “inglese” così come l’abbiamo sperimentata fino a mercoledì. Le domande erano sul numero di “banker” che saranno ricollocati, sulle banche che dovranno cambiare sede, sui settori inglesi che verranno colpiti e quanto; persino sugli effetti per le squadre di calcio britanniche. Non sono domande facili, anzi, ma sono domande a cui si può tentare di rispondere con dei numeri: quanti impiegati della banca y dovranno lasciare la city? quanto in meno andranno in vacanza gli inglesi con la svalutazione delle sterlina di ieri?, ecc. Con un po’ di buon senso, qualche dato e qualche analisi si può persino pensare di arrivare a delle conclusioni ragionevolmente realistiche. Nessuno ovviamente può sostenere che siano “conti” semplici, ma probabilmente sono conti che vale la pena fare e che soprattutto aiutano a capire quale sia il fondo, il peggiore scenario possibile. Capire quale sia il fondo è fondamentale per non andare in panico e per capire a che punto si debba ricomprare.

Lo stesso esercizio, invece, non si può fare per l’Europa post Brexit. In questo caso la prima questione che bisognerebbe risolvere è se ci siano impatti politici dall’esito del referendum di giovedì. Se la Gran Bretagna esce dall’Europa, contrariamente alle aspettative di molti, come ci si dovrebbe comportare di fronte alle “uscite” minacciate in Francia, Olanda e poi con meno forza anche in altri Paesi? Nessuno può neanche pensare di “ricomprare” se prima non chiarisce tali questioni. Al momento queste domande rimangono nell’ambito dell’incertezza e non di quello dei rischi e dei rendimenti.

Il problema vero del “mercato” dal 24 giugno in poi non è la Gran Bretagna che ha già deciso e che, tra l’altro, non era mai neanche entrata nell’euro; il problema del mercato è il “resto” dell’Europa. Visti i precedenti, inclusa la ormai quasi decennale crisi greca, non è proprio possibile nutrire particolare ottimismo sulla capacità dell’Europa di risolvere i problemi o, ancora di più, di avere una ricetta per uscire dalla crisi. Questa “incertezza” verrà usata per gli scopi più diversi fino a che dura. La decisione della Gran Bretagna, per i mercati, ha chiuso la questione inglese e ha aperto quella europea.