Tra poche ore sapremo i risultati delle elezioni amministrative che coinvolgono alcuni dei più importanti comuni italiani. I riflessi della prossima tornata elettorale trascendono le conseguenze locali e comunali, anche perché tra pochi mesi arriverà un referendum a cui sembrano collegati i destini del governo e del primo ministro. Tra i tanti osservatori interessati ci sono anche i “mercati” e gli investitori.
L’Europa e l’Eurozona sono attraversate da una serie di problemi “politici” che non sono sfuggiti ai mercati: il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, le sfide poste dalla crisi dei rifugiati con le ipotesi di muri tra stati e infine una crisi pluriennale sulle risposte da dare alla crisi che ha lasciato cicatrici “politico/elettorali” evidenti; per esempio, nel nostro caso le dimissioni di Berlusconi e 5 anni di premier non eletti. In questo contesto c’è anche l’Italia terza economia dell’area euro e malata cronica nell’Europa attuale.
La malattia cronica dell’Italia non è una novità per gli investitori. Ci sono in particolare due “sotto-malattie”. La prima è quella che dura dal 2011, con l’Italia che non arriva neanche vicino a risolvere i suoi problemi stretta tra un’austerity impostale con malafede dai suoi partner/concorrenti europei e da un’incapacità a fare le riforme giuste. Questa malattia è stata messa in semi-ibernazione dalla Bce e dalle crisi esterne all’Europa che hanno distolto l’attenzione degli investitori.
C’è poi una seconda malattia più “nuova”. Da circa sei mesi la Bce e le crisi esterne non funzionano più come prima per l’Italia. L’indice azionario italiano sta facendo molto peggio di quelli europei con la Borsa italiana che ha già vissuto diverse giornate “particolari”; qualche evidente segno di nervosismo, ed è molto più grave, si è avuto sullo spread e sul rendimento del decennale italiano. Cinque anni di mancati miglioramenti e di speranze disilluse hanno lasciato il segno, ma soprattutto è arrivata la crisi bancaria italiana. Il governo prima si è dimostrato incapace di riconoscere la pericolosità del “fallimento” di Banca Etruria & co e poi continua a non riuscire a gestire una situazione che si sta paurosamente avvitando. In tutto questo un terzo del sistema bancario italiano, le ex popolari, sono costrette a una fase di fortissimo stress.
Per questi motivi è comprensibile che i prossimi risultati siano un osservato speciale. Qualsiasi elemento di incertezza e instabilità è sempre un problema per gli investitori; la prima reazione di fronte a una “rottura” dello scenario esistente è quasi sempre un problema per i mercati, che prima vendono e poi cercano di capire il nuovo scenario. L’eccezione alla regola avviene quando il mercato ha già deciso che lo scenario attuale è il peggiore possibile; è il caso, per esempio, dell’autunno 2011. Non sembra però questo il caso italiano.
La luna di miele tra Renzi e i “mercati” sembra però finita; i “mercati” prima hanno perso la fede incrollabile di fronte a una “ripresa” puramente statistica e poi, appunto, per gli insuccessi della politica creditizia. Il cambiamento di opinione è stato certificato dalla scomparsa dei panegirici con cui Renzi era stato salutato all’inizio del suo mandato su Financial Times e Wall Street Journal; i panegerici sono stati sostituiti da articoli preoccupati per l’economia italiana e il mercato del lavoro e da titoli sulle alterne vicende delle banche italiane.
Qualsiasi cosa stia succedendo in Italia in questo momento evidentemente non funziona; questa è più o meno l’opinione diffusa. Passare da questa opinione a nomi e cognomi o a nuovi uomini della provvidenza non è un passo particolarmente lungo. È probabile che il mercato non voglia in questa fase un altro focolaio di instabilità politica in Europa; allo stesso modo, però, se emergessero nuove ipotesi politiche ci si potrebbe attendere un sincero interesse senza pregiudizi. Dopotutto anche quello che c’è ora non funziona…