Lo scudo da 150 miliardi di euro per le banche italiane non ha avuto effetti sui titoli bancari quotati alla borsa di Milano; ieri, i titoli delle principali banche italiane hanno ignorato lo scudo continuando a scendere. L’andamento sarebbe ancora più sorprendente se consideriamo i cali eccezionali di cui le banche italiane sono state vittima negli ultimi mesi e nelle ultime settimane. La terza banca del Paese, Monte Paschi, capitalizza come una media società del lusso italiano e la prima banca del Paese, Unicredit, ha aggiornato i minimi.

Ci deve essere una spiegazione per il fallimento dello scudo da 150 miliardi che, evidentemente, deve essere molto diverso da quello che è stato raccontato. Per esempio, per il Financial Times di ieri lo scudo di cui sopra è una “concessione minore” fatta dalla Commissione europea per permettere all’Italia di aiutare le banche con problemi di liquidità di breve termine. La concessione fatta all’Italia riguarda la possibilità di dare garanzie statali per creare un supporto di liquidità. In sostanza se ci fosse una corsa agli sportelli lo Stato italiano avrebbe la possibilità di intervenire fornendo liquidità.

Un investitore distratto, magari di ritorno da una lunghissima vacanza, ha scoperto quindi l’altro ieri che ci si è preparati a un’ipotesi, sicuramente estrema, di corsa agli sportelli in Italia, la terza economia dell’area euro. Non è difficile immaginare quale sia la reazione a una “notizia” di questo tipo e soprattutto quali domande generi sullo stato di salute e sulle reali necessità delle banche italiane. Se questo sia l’inizio di una trattativa a più ampio raggio tra Italia ed Europa per trovare una soluzione alla crisi di molte banche italiane è una possibilità su cui però il mercato non può scommettere.

Cosa è successo alle banche italiane e in particolare ad alcune? Prendiamo ancora in prestito le parole dell’FT; “le banche italiane non hanno mai recuperato dopo l’ultima crisi”. La crisi del 2011, quella dell’austerity di Monti gentilmente offertaci dall’”Europa” dopo le dimissioni di Berlusconi (che voleva uscire dall’euro), ha fatto fallire le imprese che non sono più riuscite a restituire i prestiti. Oggi il sistema bancario italiano ha in pancia decine di miliardi di “crediti” che difficilmente verranno restituiti. La crescita da prefisso telefonico degli ultimi anni non ha permesso nemmeno un minimo di ridimensionamento consentendo alle banche di smaltire negli anni le sofferenze bilanciandole con gli utili; questi ultimi tra l’altro falcidiati dalle inevitabili politiche di tassi a zero.

Il problema è strutturale e non può essere risolto con interventi “spot” per due motivi. Il primo è che semplicemente il problema è oggi troppo “grande” e richiede troppi miliardi per ipotizzare qualche “puntello” ai casi singoli più scabrosi; il secondo è che prendere tempo fa malissimo alla fiducia di risparmiatori e investitori, che non si fidano più, e all’economia perché le banche rimangono bloccate nella concessione del credito. Quello che era possibile un anno fa oggi non lo è più. .Il Fondo Atlante ha già esaurito le munizioni per sottoscrivere gli aumenti di Veneto Banca e di Popolare Vicenza su cui l’interesse del mercato è stato molto tiepido. È abbastanza chiaro che servirebbe una massiccia iniezione di capitale nel sistema ed è chiaro che solo lo Stato, e non più il mercato sfiduciato, può farsene carico. Senza un ok dalla Commissione europea a un piano molto ambizioso del governo italiano, che dovrebbe anche essere molto bravo, il problema non può essere risolto.

Sul nervo scoperto martella la speculazione da almeno sei mesi e cioè da quando si è fatto l’enorme errore di “comunicazione” con i “salvataggi” di Etruria & co; da quel momento si è capito che il governo italiano non aveva la situazione sotto controllo in un mix di rigidità europee e pressapochismo. La Brexit ha riaperto la questione europea e la speculazione si è buttata dove fa più male: le banche italiane piegate dalla crisi e senza la protezione di nessuno Stato.

Le banche italiane non sono l’unico rischio sistemico in Europa; c’è un altro rischio sistemico almeno altrettanto grande in Germania dalle parti di Deutsche Bank che viaggia ai minimi di sempre e al centro di rumour veramente inquietanti sulla salute dei suoi attivi impiegati invece nei pericolosissimi mari della finanza globale. Per il Fondo monetario internazionale Deutsche Bank “sembra il contributore più importante al rischio sistemico globale”. Anche in questo caso la speculazione ha picchiato forte prima della Brexit e ancora di più dopo. Se ci fossero dei problemi veri in Italia l’onda lunga arriverebbe direttamente anche sul fragile sistema tedesco legato incredibilmente a quello italiano. Questa è la ragione per cui si può confidare in un accordo Europa-Germania-Italia.

Tra la possibilità e la soluzione c’è ovviamente tanto lavoro e tanta competenza in una fase in cui i “mercati” non staranno a guardare continuando a guadagnare sui ribassi. Sulla questione bancaria italiana, e tedesca, si gioca probabilmente, almeno a breve, il futuro dell’Europa così come la conosciamo ora. Non sembra una questione su cui si possa tirare avanti per moltissimi mesi senza trovare soluzioni.