L’ultima, per ora, privatizzazione italiana arriverà sul mercato con ogni probabilità entro poche settimane. Il governo italiano, unico nel globo, ha deciso di quotare la società monopolista del controllo del traffico aereo, Enav. Nessun altro governo ha preso in considerazione l’ipotesi di quotare una società che maneggia dati sensibili (chi vola sopra i cieli italiani) anche dal punto di vista della difesa.



Non vorremmo entrare in troppi dettagli tecnici, né tentare di fare previsioni sui destini borsistici di questa ennesima privatizzazione, ma vorremmo evidenziare semplicemente alcuni punti oggettivi. L’incasso per il governo italiano di questo monopolio, con rendimenti garantiti e senza alcuna possibile concorrenza che “prende” soldi anche solo per il sorvolo dei cieli italiani, quasi una derivata del Pil mondiale, non sposterà nemmeno dello 0,1% il debito italiano. I dividendi percepiti dalla quota che verrà messa in vendita sono di gran lunga superiori, nell’ordine di almeno 3-4 volte, ai risparmi sul costo del debito pubblico; in pratica l’Italia vende un bene che garantisce 3-4 all’anno per smettere di pagare 1. Si garantisce al mercato l’accesso a un bene praticamente introvabile e per cui non ci si deve nemmeno preoccupare del rischio “Italia”. Infine, la società viene quotata senza praticamente debito garantendo ai futuri azionisti importanti spazi di “ottimizzazione” della struttura del capitale. È un’operazione senza senso strategico, finanziario ed economico, che ci priva per sempre di una fetta di sovranità.



La lunghissima lista di società strategiche messe sul mercato è destinata ad allungarsi ancora se, come pare, arriveranno sul mercato anche Anas (le ultime autostrade ancora pubbliche) e persino le Ferrovie. Tutto ovviamente fatto in modo da “invogliare” il mercato che deve mandare giù l’esposizione a un Paese molto complicato dal punto di vista giudiziario, burocratico ed economico. Alla fine di questa lista si dovrà forse ricominciare il giro vendendo le quote di controllo negli asset “strategici”?

Ieri il Financial Times, nel mezzo di una tempesta finanziaria e geopolitica colossale, dedicava un’intera pagina a Eni; una società che da 70 anni garantisce all’Italia gas e petrolio con cui si alimentano le imprese di un Paese che ambisce a rimanere nel primo mondo. Una società indissolubilmente legata al miracolo economico e all’indipendenza energetica e strategica italiana; una società con cui si costruiscono relazioni economiche e commerciali e alleanze geopolitiche che altrimenti l’Italia non potrebbe neanche sognare.



Nell’articolo si dicono due cose che dovrebbero inquietare chiunque tenga a Eni e a tutto quello che rappresenta per l’indipendenza e la possibilità di sviluppo dell’Italia. Si dice che Eni è in difficoltà perché è troppo concentrata in Paesi rischiosi: Libia, Egitto e Nigeria. Non va bene che Eni faccia troppi affari in questi Paesi. Vorremmo chiederci dove Eni potrebbe estrarre petrolio e gas; questi sono o in Paesi sicuri, come gli Stati Uniti, che sanno estrarre il petrolio e non lo dividono con nessuno, o in Paesi non sviluppati e non troppo sicuri. Nel secondo caso una società come Eni, che non risponde agli interessi di una potenza globale, riesce efficacemente a operare scambiando competenze, che offre, con petrolio e gas che prende per garantire alle imprese e alle famiglie italiane una presa di medio lungo termine su beni palesemente vitali.

Vorremmo precisare che tutte le major fanno affari in Paesi delicati. In Egitto il concorrente di Eni è l’inglese Bp e in Libia, francesi e inglesi, con l’appoggio decisivo americano, hanno fatto la guerra per buttare fuori l’Italia e prendere il nostro posto. A proposito di Egitto; l’FT accosta la scoperta di Eni del giacimento Zohr alla tragica morte di Regeni, “La scoperta di Zohr è stata rovinata da un aumento delle tensioni tra Roma e il Cairo per l’omicidio di Regeni”. In Nigeria, nota l’FT, i gasdotti dell’Eni sono oggetto di attacchi. Le azioni Eni, dice l’FT, sono sottovalutate perché la società opera in Paesi complessi. Davvero? E le altre cosa fanno se si scatenano guerre, in Libia e altrove, per prendere il posto di Eni?

La seconda affermazione inquietante è che Eni “potrebbe alla fine diventare un partner appetibile per una fusione con una oil major”. Ci sembrava che Eni fosse già una major, ma il senso è palesemente un altro. Eni è stata tagliuzzata, smembrata e ridotta e si concentra ora nell’estrazione senza particolari debito; è nei fatti la preda ideale. Siccome ha poco debito oggi dovrebbe comprare con il petrolio a 45 proprio per smettere di essere una preda così facile. Per tutte le altre major, con i tripli e quadrupli fili con i sistemi Paese che rappresentano, invece meglio che si travesta da preda ideale. Un patrimonio di competenze, conoscenze e asset senza praticamente eguali che fa gola a tutti.

Vorremmo dire un paio di cose per fare quelli che pensano male. Scommettiamo che il giorno che Eni smette di impicciarsi in Paesi dove non “dovrebbe” e dove ruba relazioni e miliardi ai suoi concorrenti certe guerre e certi incidenti finirebbero? Scommettiamo che se Eni venisse comprata da Bp, per fare un nome a caso, certi “inconvenienti” cesserebbero? Vogliamo andare oltre. Eni è troppo bella e troppo utile, in termini economico-strategici e geopolitici, a un Paese che è lentamente scivolato in uno stato di subalternità; è un’anomalia e un retaggio del passato che l’Italia abbia una major.

Ci spingiamo ancora più oltre. Un’azienda finita in mezzo a inchieste singolari, con l’immagine di fare “affari” con impresentabili, che è quello che fanno i nostri amici americani, inglesi e francesi, che però lo fanno facendo guerre vere che fanno morti veri e radono al suolo governi democraticamente eletti, potrebbe persino essere presentata come una cosa utile da vendere magari per abbracciare “le rinnovabili” e il risparmio energetico con cui non si alimenterà mai la struttura di un Paese industrializzato che riesce a pagare scuole e ospedali a tutti. Quanto ci vorrebbe, per esempio, a convincere un governo di cinque stelle a liberarsi di Eni? Quella brutta e cattiva società petrolifera (orrore!) che fa affari in Libia (doppio orrore!), come vorrebbero Francia e Inghilterra, e in Egitto, come li fa l’Inghilterra con Bp, o con la Russia come fa la Germania?

Lo scippo finale di sovranità energetica e strategica sarebbe solo l’epilogo finale di tutto quello che è stato tolto prima, democrazia inclusa, a vantaggio di chi usa l’Italia come un bancomat; persino la Francia si schiera ieri contro gli aiuti di stato alle banche italiane pur di prendere la sua parte. L’Italia, senza Eni, nelle condizioni di dover mendicare persino per il gas per il riscaldamento d’inverno. Quello che buttiamo via noi lo prendono gli altri non capacitandosi di tanta fortuna. Ilva inclusa, risparmio e banche incluse, ecc.

Tenersi Eni sarebbe strategico per risalire la china geopolitica dal buco, economico e geopolitico, in cui siamo finiti. Chi dirà che è da vendere è il giuda o l’utile idiota che vuole l’Italia di un esercito di camerieri per quelli che le loro Eni non le venderanno mai.

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