La corsa del Btp non si è arrestata neanche ieri con il rendimento del decennale italiano all’ 1,12%. Abbiamo già scritto come lo scenario nazionale e continentale non dovrebbe in teoria suggerire questa cavalcata verso minimi di rendimento e massimi di prezzo che non si erano mai visti; ma le stranezze non dovrebbero essere una novità. Vorremmo, prima di proseguire, ricordare che cinque anni fa, più precisamente nell’estate del 2011, mentre gli italiani si godevano ignari le meritate vacanze iniziava, proprio d’estate, quel lungo calvario che portò allo spread a 500 e poi al governo Monti; non c’è un singolo indicatore dell’economia italiana del 2016 che non sia peggiore del 2011 e, anzi, dal punto di vista strutturale l’economia italiana e il suo sistema finanziario sono oggi sicuramente più fragili. In ogni caso più o meno cinque anni fa il future sul Btp arrivava a 90 e ieri è salito ai massimi di sempre a 145 e passa; un bel risultato per un’economia che non è mai migliorata. Almeno però sappiamo che quello che si vede sul mercato non sempre è quello che sembra e soprattutto che non è vangelo.
Proprio lunedì il rendimento del decennale spagnolo è sceso sotto l’1% per la prima volta. La Spagna ci “batte”, ma non è questo il punto; il punto è che l’Europa ha chiuso un occhio e tre quarti sul deficit della Spagna settimana scorsa e che il deficit spagnolo è il secondo peggiore d’Europa dopo la Grecia e più del doppio di quello italiano, oltre a essere fuori da ogni grazia divina secondo i parametri europei; in teoria noi, italiani, che abbiamo sempre ubbidito alle regole europee, privatizzato e non salvato le banche dovremmo essere premiati dal mercato a cui invece ovviamente tutte queste cose non interessano. Così come evidentemente non interessa “all’Europa”, Germania e Francia, se la Spagna sfora mentre il concorrente italiano deve rimanere nell’angolo. Ricordiamo che la Spagna sarebbe anche alle prese con questioni del tutto secondarie come la secessione della Catalogna.
Il mercato evidentemente non guarda i deficit per decidere chi sta meglio o peggio e nemmeno altrettanto sicuramente la quantità di debito lordo perché praticamente tutti i debiti sovrani sono in esplosione con performance economiche sempre più anemiche. In un mondo di debiti statali in rapida e costante espansione a cifre incomprensibili per la mente umana quello che importa non è ovviamente la cifra assoluta. Sono tutti talmente elevati che non si può prendere in considerazione l’ipotesi di pagarli o ridurli in un orizzonte temporale anche solo di medio periodo; lasciamo stare il breve. Oggi ampia letteratura prevede, dopo il fallimento delle politiche monetarie espansive, il ricorso a massicci stimoli fiscali, e spesa pubblica, per rilanciare economie che non ripartono. Su questa strada si è inoltrato il Giappone che sarebbe la terza economia del globo. E a breve seguiranno tutti gli altri.
Negli ultimi anni si è parlato diffusamente di ripresa americana. Quella che ha sorretto le borse mondiali per almeno due anni è secondo molti la più debole ripresa economica di sempre dopo una crisi. Il rapporto tra occupati e popolazione totale negli Stati Uniti non è mai tornato ai livelli pre-crisi, 2007, nonostante cinque anni di “ripresa”; significa che milioni di americani hanno perso il lavoro e non l’hanno mai ritrovato smettendo di cercare. Questo accade in quella che è probabilmente la migliore economia post 2007 del globo. Questo tra l’altro significa che rialzi dei tassi o tassi normalizzati diventano sempre più difficili da ipotizzare in uno scenario che rimane sostanzialmente deflattivo. Non c’è tensione geopolitica o performance economica negativa che tenga in questo contesto: la massa di liquidità deve posarsi da qualche parte e gli stati sono uno degli approdi meno problematici.
In questo nuovo mondo dove gli stati devono fare altro debito per far ripartire le economie e dove i debiti erano già volati per salvare il sistema finanziario parlare di deficit o debito per grandezze da migliaia di miliardi con rendimenti negativi diventa una discussione priva di senso. Chi si ostina a dire che questo o quello stato deve ridurre il debito lo fa in malafede per imporre uno svantaggio competitivo nel rafforzamento dell’economia. In questo mondo di debiti pubblici in esplosione a cifre fuori dal grafico e prive di significati reali, quello che conta è la forza dell’economia sottostante, in questo ovviamente c’è anche la nozione di “spending review” o efficienza insieme a molto altro: coesione del sistema, e capacità di reggere agli shock forza e del sistema produttivo anche in termini di competenze non replicabili.
La “forza” del Btp di questi giorni però con tutto questo non c’entra niente; significa “solo” che i problemi non sono risolti.