L’esito degli stress test comunicato venerdì sera ha messo la Borsa italiana sotto pressione anche ieri, nonostante un intero weekend a disposizione per metabolizzare i dati e un’intera giornata di borsa, quella di lunedì, per dare modo al mercato di incorporare nei prezzi le informazioni. Il numero di performance orribili della banche italiane è stato aggiornato anche ieri: Unicredit -7% e Mps -16% per fare gli esempi più “rappresentativi”.

Il contesto “economico-finanziario-politico” in cui si colloca l’esito degli stress è ampio e piuttosto complicato e rischia di passare in secondo piano rispetto alle vicende di banche italiane dai nomi sicuramente oscuri o pittoreschi per una parte importante degli investitori globali. Quello che è accaduto negli ultimi giorni, ma ancora prima negli ultimi mesi, alle banche italiane si colloca in uno scenario in cui le incognite politico-finanziarie non mancano. La crescita americana che ha trainato le borse negli ultimi due anni sta palesemente perdendo colpi, l’Europa non riesce a risolvere alcuno dei suoi problemi e la Gran Bretagna ha deciso di salutare, il rallentamento cinese continua a essere una minaccia difficilissima da misurare. Questo avviene mentre non si placano le tensioni in Medio Oriente e quando nei prossimi dodici mesi andranno a elezioni gli Stati Uniti, la Germania e la Francia. Questo per dire che la fase consiglia vivamente di pensare molto bene a dove mettere i soldi, soprattutto se si contano in unità di miliardi di euro.

In questa fase dove l’investitore medio è costretto a interessarsi di tensioni geo-politiche, di rivisitazioni di alleanze decennali, rotture di unioni monetarie e di sondaggi elettorali, fanno capolino le notizie sulle banche italiane. La nostra prospettiva sulla vicenda è probabilmente più informata e sicuramente più equilibrata rispetto a quelle viziate dalla volontà di difendersi scaricando tutte le colpe sul capro espiatorio di turno. Sappiamo che non è solo una questione di “sostanza”, altrimenti non si spiegherebbe come mai su chiacchieratissime banche globali con titoli sfracellati ai minimi di sempre, come Deutsche Bank, la letteratura sia molto meno ricca di quella sulle “banche italiane”. Esiste anche una questione di “immagine” che si da di sé e della solidità del proprio sistema anche rispetto alla tenuta di un’idea che si vende sul mercato. Se la questione, come sembra, è la mancanza di crescita futura che minaccia gli attivi delle banche già appesantiti in un Paese chiave dell’euro in questa fase così delicata, il problema dovrebbe essere percepito come una minaccia almeno continentale. Invece si parla sempre e solo di banche italiane. Ed è inevitabile.

L’appuntamento con gli stress test di venerdì era noto da mesi ed è assolutamente ragionevole ipotizzare che chi aveva in mano i numeri sapesse come sarebbero andati a finire e cosa avrebbero evidenziato. Nove mesi fa il “fallimento” di quattro piccolissime banche italiane e la sua (mala) gestione ha fatto venire meno non “solo” la fiducia sugli attivi delle banche italiane ma sulla capacità del sistema di far fronte ai propri problemi; Banca Etruria & Co non sono un problema grave dal punto di vista quantitativo, ma da uno qualitativo hanno segnalato che l’Italia era inaffidabile al punto da non essere in grado di evitare che quattro banche minori mettessero in dubbio l’intero sistema.

La prima banca italiana per attivi, Unicredit, è arrivata all’appuntamento con gli stress test con il titolo a due euro dai sei dell’autunno scorso; una situazione molto più difficile da gestire per una banca che volesse fare un aumento. Tutti i giornali del globo hanno letto di Monte Paschi, una banca italiana, “ultima classificata” negli stress test. Qualcuno provi a spiegare a un investitore americano che confonde la Grecia con la Norvegia sulla mappa dell’Europa (non è una barzelletta) la differenza tra “Mps” e “Intesa”…

Così l’esito degli stress test al posto di rassicurare gli investitori ha in realtà raddoppiato le preoccupazioni avendo, in sostanza, scoperchiato il problema delle “banche italiane” “piene di sofferenze” in un sistema che non solo non ha alcuna soluzione per curarle, ma non sa nemmeno come ridurre i sintomi più evidenti. Questo non spiace affatto ai nostri “partner” europei che possono godere della protezione e di un cono d’ombra dato dalle attenzioni che si riservano a quelle italiane. Anche altre banche europee hanno sofferto dopo gli stress testi dimostrando che l’Europa continua a farsi del male, passando però il cerino agli italiani. A nessuno sfugge che lo scenario sia carico di incognite, ma il gioco non può essere quello di diffondere volatilità e terrore dando la massima pubblicità alla ovvietà più banale che in caso di un’altra crisi le banche soffrirebbero.

Questo è vero anche negli Usa che gli stress test non li fanno e se li fanno dicono che va tutto bene, mentre Deutsche Bank esce da questi risultati persino rafforzata se messa in relazione alle “disastrate” banche italiane. Viene persino da chiedersi a chi sia giovato far arrivare alcune banche italiane in queste condizioni a questo appuntamento. In un giorno si abrogano le “popolari” che non sono mai state un rischio sistemico per nessuno, ma per Deutsche Bank nemmeno un aumento e per le Royal bank of Scotland c’è la statalizzazione, e in dodici mesi non si è in grado di sistemare almeno quella parte del problema che, come da facilissime previsioni, avrebbe avuto impatti devastanti di immagine su tutto il resto; nemmeno quella parte di problema relativa a quattro banche locali italiane.

In uno scenario così complicato da mettere in discussione le ipotesi di base, dare l’impressione di saper gestire i problemi che sicuramente arriveranno è l’unica cosa che conta. Oggi quindi il “problema delle banche italiane” è lo stesso di venerdì, ma triplicato. Perché è stato messo nero su bianco e perché si è data la massima pubblicità possibile alla parte più problematica; le notizie “buone” come sempre infatti non interessano a nessuno.