La settimana borsistica si è conclusa degnamente ieri con un altro tonfo sulla borsa di Milano arrivato dopo le prime, ma già pesantine, pressioni/avvertimenti all’Italia messa in guardia sull’importanza del referendum sulla riforma costituzionale. Se, a torto o a ragione, il voto italiano è percepito come una tappa fondamentale per la sopravvivenza di questa Europa immaginiamo, senza particolari meriti, che la pressione possa benissimo continuare e diventare più pressante. I ricordi di quanto successo sulla borsa inglese nelle settimane precedenti al referendum sulla “Brexit” sono ancora freschissimi. Anche oggi come allora una vittoria del no, che suonerebbe moltissimo come una bocciatura a questa Europa e che aprirebbe scenari meno controllabili da commissioni e simili, viene presentata come l’anticamera dell’apocalisse economica e finanziaria italiana. L’Italia che ha seguito fedelissimamente tutte le indicazioni europee è invece in un vicolo cieco economico e politico come raramente si era sperimentato.

In ogni caso se il termine di paragone per l’Italia è quanto successo in Inghilterra tre mesi fa, si può già rileggere un po’ di storia. Secondo la vulgata, la Brexit sarebbe quella cosa votata da una maggioranza di panzoni bevi-birra inglesi, anche un po’ razzisti, che avrebbe condannato l’Inghilterra almeno per una generazione a un purgatorio economico e politico. Facciamo pure finta di non aver visto che il mito del panzone ignorante che vota per il leave e il colto e informato che vota per il remain è appunto un mito che cozza con un’attenta analisi del voto e pure con tante evidenze empiriche in cui intelligentissimi ed educatissimi membri della “city” hanno votato “contro” l’Europa. Non possiamo però far finta di non aver visto che il mercato azionario inglese è ben sopra i minimi post Brexit (chi ha venduto oggi piange) e fa meglio di molti altri rispettabilissimi mercati europei, per esempio quella francese. Non possiamo nemmeno far finta che le banche inglesi quotate brillino rispetto a quelle europee, così come le società immobiliari, e che i dati economici inglesi continuino con testardaggine a non mostrare nessuno segno di apocalisse che pure, secondo tutti, a quest’ora dovevano già ampiamente mostrare.

Non possiamo nemmeno far finta di non aver letto su tutti i quotidiani economico-finanziari di ieri che in Inghilterra si è dato il via libera alla costruzione di una centrale nucleare da 18 miliardi di sterline (7% della domanda elettrica nazionale), finanziata anche con 35 miliardi di contributi (in 35 anni) governativi alla francese Edf, che ha svuotato le cantine di champagne alla notizia, e con 6 miliardi di sterline dalla Cina. Magari non saremo bravi economisti o politologi, ma ci sembra che un progetto del genere nell’Europa attuale, in cui nemmeno i tedeschi finanziano mezza metropolitana, sia un segnale di rarissima vitalità. Intanto si finanzia un progetto che ha palesi ed evidentissimi significati strategici perché un Paese che vuole comandare a casa propria o fa, anche, queste cose oppure deve turarsi il naso, e anche gli occhi e le orecchie, quando deve andare a fare accordi nell’Africa subsahariana o in quella mediterranea oppure ha il petrolio o il gas in casa e non si fa fare l’agenda dal comitato di quartiere oppure infine si suicida economicamente.

Un Paese che fa queste cose è anche un Paese in cui primari governi del mondo occidentale civilizzato e primarie economie globali, Francia e Cina, decidono di investire a botte di miliardi per tirare su qualcosa che prima non c’era e che tendenzialmente dall’Inghilterra non si sposterà mai, soprattutto se il governo inglese si tutela con misure per difendere l’interesse nazionale per la proprietà delle “critical infrastractures”; alla faccia del “liberi tutti” in tutti i settori e alla faccia di quelli che sparlano di scommesse sull’Italia che si traducono in cambi di proprietà che non solo non aggiungono un euro di capitale fisso o umano, ma che portano a centinaia di licenziamenti e chiusure di impianti. L’Inghilterra, che come sappiamo si è isolata dal mondo con la Brexit e che avrà anni e anni di durissime pene, attrae investimenti miliardari.

Immaginiamo infine se questa Italia che non ha margine nemmeno per un euro riuscirebbe nel contesto politico attuale, e in quello economico e soprattutto in quello europeo, a lanciarsi in un progetto del genere; un progetto che potrebbe ancora oggi benissimo finanziare essendo gli italiani e le loro banche pienissime di risparmio parcheggiato a zero rendimento sui conti correnti. È un progetto che non finanzia qualche posto pubblico in qualche sperduto paesino o qualche vitalizio o qualche canone o qualche cinema per i giovani pre-elettorale; eppure sappiamo che l’Europa non ce lo farebbe mai fare perché c’è l’austerity anche se sarebbe tutto Pil in più e spesa produttiva e anche se poi, ma è un altro discorso, si è obbligati a fare affari con governi e in situazioni un filo problematici, come fanno tutti del resto, solo che da noi spunta sempre un’indagine.

Come sappiamo (anche se c’è ancora qualcuno che crede che l’abolizione delle popolari è una riforma di mercato, nata cresciuta e finita nell’insider trading), l’ultima battaglia per l’ultimo pezzo di sovranità italiana è quelle sulle banche, perché le centinaia di miliardi di risparmio degli italiani non meritano di continuare a stare nei conti di un branco di mangia-spaghetti e starebbero molto meglio in qualche banca francese o tedesca, o americana, soprattutto se traballante; è utile puntualizzarlo perché per ora i soldi sono ancora nostri, ma ancora per poco se si va avanti così.

In ogni caso ci chiediamo: 20 miliardi di euro per un progetto infrastrutturale strategico e di sviluppo, l’Italia di oggi nell’Europa di oggi se lo potrebbe permettere e, soprattutto, lo potrebbe fare? La risposta è No e non è una questione di soldi se ogni mese che Dio manda sulla terra in Italia si raccolgono ancora oggi miliardi di euro in risparmio gestito.