La Borsa italiana ieri sembrava ben avviata verso un’altra giornata da dimenticare sulla scia delle incognite politiche europee e sui timori per le sorti di Deutsche Bank; pochi minuti dopo le tre e mezza del pomeriggio, quando apre la borsa di New York, Piazza Affari ha virato abbastanza decisamente riducendo i cali. L’entusiasmo di Wall Street è legato alla generale percezione che Hillary Clinton abbia vinto il dibattito con Donald Trump di lunedì sera; la percezione che l’ex first lady avesse vinto si era già diffusa nella notte sui mercati con un apprezzamento del peso messicano contro il dollaro motivato dal fatto che Trump vorrebbe riportare “lavoro” negli Stati Uniti a danno anche dell’economia messicana, dove le imprese americane hanno delocalizzato in massa. Anche per il “mercato” quindi ha vinto la Clinton. La questione che si dovrebbe approfondire è perché la Clinton faccia bene alle borse e come la vittoria di uno o dell’altro candidato stia influenzando e influenzerà i mercati; la premessa è che l’economia americana e soprattutto la Fed siano stati insieme il principale fattore delle borse globali dal fallimento di Lehman.
Il ruolo della Fed è già entrato in campagna elettorale. Donald Trump da settimane accusa la banca centrale di non aver alzato i tassi per favorire Obama e la sua amministrazione. L’accusa nemmeno troppo velata è che anche la Fed sia in campagna elettorale per tirare la volata alla Clinton; il percorso logico non è né particolarmente lungo, né particolarmente difficile: se la Fed alza i tassi i mercati vanno in sofferenza, le bolle artificiali scoppiano, la gente si arrabbia e punisce chi viene associato con la stato attuale di economia e finanza e cioè con Obama e la sua amministrazione, ovviamente Clinton inclusa. I successi della borsa americana mascherano le tante difficoltà dell’economia americana.
È un’accusa impossibile da dimostrare, ma è certo che il rinvio a data da destinarsi di un ulteriore rialzo sia un’anomalia rispetto ai dati economici americani e che, prima o poi, qualcuno dovrà farlo, pagandone il conto politico di breve termine, sia perché le bolle si moltiplicano, sia perché i risparmiatori americani sono anni che non beccano un dollaro di interesse. È un’accusa per niente politically correct e indimostrabile, anche se analisti di Royal bank of Canada hanno messo in relazione acquisti anomali di opzioni su titoli di stato americani con una protezione contro un aumento delle probabilità che Trump vinca le elezioni nelle prossime settimane; in sostanza se Trump va avanti nei sondaggi magari alla Fed scappa di tagliare i tassi per far brindare le borse e scongiurare l’eventualità di una presidenza Trump. È tutta fanta-finanza fino a che le cose non accadono, anche se qualcuno evidentemente ha già contemplato la possibilità con soldi veri.
Sulle elezioni presidenziali americane sono puntati gli occhi dei mercati che cercano di capire le implicazioni economiche e finanziarie della vittoria dell’uno o dell’altra. In generale una vittoria della Clinton darebbe continuità a quello che si è visto negli ultimi otto anni, mentre la vittoria di Trump spariglierebbe le carte. Quello che si è visto negli ultimi otto anni ovviamente piace tantissimo ai mercati e alla “finanza”, con la borsa americana ai massimi e la finanza che continua a essere fatta come nel 2007.
Un ulteriore elemento di indagine riguarda l’apparente indifferenza con cui i mercati hanno accolto i recenti sondaggi sulle elezioni di novembre che darebbero a Trump delle chance concrete. Sui mercati non si sono viste prese di posizione eclatanti, ma, sempre secondo gli analisti di Royal Bank of Canada, i primissimi dati suggerirebbero che una presidenza Trump sia associata tassi di interesse più alti e a un dollaro più forte e di conseguenza a un mercato azionario più volatile; questo avrebbe come unico possibile contro-bilanciamento una politica fiscale espansiva con un piano di infrastrutture ingente. Su questo ultimo punto dovrebbe convergere anche Hillary Clinton.
La differenza registrata dal mercato per il momento sarebbe quindi “limitata” al differente approccio ai mercati con una Hillary Clinton considerata molto più accomodante rispetto alle esigenze degli investitori.